8 gennaio 1934. Un giovane di neppure venticinque anni si rifiuta di prestare giuramento di fedeltà al fascismo. Quel giovane è un brillante, promettente, integerrimo docente di letteratura russa presso l'Università di Torino, che ha illustrato Puškin nel suo corso prima della fatidica scelta e che avrebbe poi insegnato ai suoi allievi Herzen, se ne avesse avuto la possibilità. Ma con quel suo “no” “s’incammina verso la propria fine”. Lui è Leone Ginzburg. Ed è il quattordicesimo professore universitario ordinario a dire apertamente, serenamente quasi, quel no, nei ventotto mesi che intercorrono dalla data in cui è stato emanato l’obbligo di fedeltà a quel primo mese dell’anno 1934. Quattordici su milletrecento circa. Poco tempo prima, il 19 luglio 1933, in “un piccolo centro padano” alle porte di Milano, a Cusano Milanino, nasceva -finalmente, a lungo atteso- Luigi Scurati. Pochi anni prima a Napoli, invece, Peppino Ferrieri si era legato ad Ida. Peppino “tira i fili per passione e per bisogno”: il suo mestiere, infatti, è quella del puparo e la passione di Peppino è la recitazione...
Antonio Scurati ci regala una storia: la storia di un uomo. Coerente, onesto, scrupoloso nel lavoro, attivo nelle relazioni. Ci regala un affresco di un periodo storico tormentato e terribile riportando lettere, date, testimonianze e mantenendo un tono quasi distaccato rispetto a quanto narrato, senza indugiare in inutili sentimentalismi o ricamando sui presunti sentimenti dei protagonisti. Bastano, in fondo, le parole che Ginzuburg scrive alla madre dalle sue prigionie, o l'ultima, tenerissima, lettera di Leone alla moglie Natalia, quasi un manifesto della persona stessa e dei suoi ideali. La vita delle tre famiglie che l'autore sceglie di raccontare vengono illuminate da flash lungo gli anni della guerra, narrando di nascite e di morti, delle scelte politiche e dei tentativi di mettersi in salvo e sopravvivere. Ma Antonio Scurati ci mette anche in guardia da facili commozioni o da “struggimenti” rispetto ad epoche nelle quali si lottava per la vita, per la libertà. È una mancanza di rispetto, ci ammonisce Scurati, nei confronti di chi quelle difficoltà le ha vissute davvero, “è lo sproposito di chi non ha mai avuto altro che pace”.