Nel 1984 Terzani viene espulso dalla Cina (dove aveva preso il nome di Deng Tiannuo) dopo un domicilio controllato di settimane. Lavora al settimanale tedesco Der Spiegel come reporter, e ama questo Paese che lo sta ritenendo “non più idoneo per restare”, tanto che, nello scrivere a S.E. il Presidente della Repubblica Sandro Pertini, dirà: “Carissimo Presidente, è strano, ma La debbo ringraziare per avermi fatto uscire da un posto in cui volevo stare, la Cina”. Parte così alla volta delle Filippine, Manila, qualche passaggio dall’Italia, a casa, e poi si riavvicina al Giappone, dove ha vissuto vent’anni addietro. Nel 1996 durante il viaggio con il figlio Folco intrapreso per incontrare Madre Teresa di Calcutta – e per ritrovarsi come padre – matura la decisione di congedarsi definitivamente dallo Spiegel dopo venticinque anni di carriera. Non ancora completamente affrancato dalla depressione, e affaticato dalla ripetitività del suo mestiere, sente il bisogno di interrogarsi sul buddhismo e incontra il Dalai Lama alla fine degli anni novanta. Nel Natale del 1999 sceglierà di chiamarsi Anam, “colui che non ha nome” …
Attraversando le pagine e i diari di Terzani si rimane immersi nella vita di quest’uomo dall’animo complesso e profondo e ammaliati per la sua capacità, in quelle parole già complete così come sono state lasciate, di disseminare uno o più messaggi preziosi. Assieme alla sua ricerca della verità, viaggia l’alter ego che lui definisce depressione: oggi si chiamerebbe “ricerca della spiritualità”. Di tutti i nomi e gli abiti che ha indossato per sentirsi parte dei Paesi in cui ha vissuto, quello di “marito di Angela” è il più ricorrente in questa raccolta di diari. Nel suo ricercare in ogni angolo della Terra, Terzani ci lascia un esempio raro di giornalismo: riportare fatti con una struttura letteraria eccellente e il cuore che tenta di restare a galla. Oggi si parla di scelte monetarie o gossip, mentre quando si rapava a zero, correva chilometri ogni giorno e si cambiava il nome, Tiziano Terzani aveva già in mente come lasciarci questo grande stralcio di giornalismo e vita: pane e acqua. Per aiutarci così a sopravvivere in questa liquida sembianza di vita, che scorre velocemente e muta mentre ci muta.