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13 sotto il lenzuolo

13 sotto il lenzuolo

Sprusciàno, 1982. Federico Nugnes Peluso è il rampollo di una nobile e oramai decaduta famiglia salentina alle prese con l'indolente tardo adolescenziale voglia di procrastinare il più possibile il suo ritorno da studente universitario nella iperattiva Milano da bere. Il ragazzo trascorrerebbe volentieri in eterno quelle sonnacchiose giornate estive post mundial spagnolo tra mare e serate al vecchio frantoio, dove quotidianamente riscuote dalla sua ragazza Simona Macrì - la classica brava ragazza un po' petulante, già immancabilmente moglie, ma con due 'menne' impossibili da ignorare - il meritato premio partita. Solo che Don Gioacchino Nugnes Peluso, evidentemente preoccupato per lo sfaticato figliuolo, ha preferito trovargli un'occupazione che lo possa tenere quanto meno un po' impegnato oltre a permettergli di guadagnarsi qualche lira, in attesa che l'estate volga stancamente al termine. Deve 'dare una mano' presso l'Hotel Paradise, dove da lì a qualche giorno sono previste le riprese di uno degli ultimi B-movie tanto in voga in quegli anni. Un film dove la guest star è addirittura Lino Banfi. Così Federico, che nel frattempo proprio al Paradise ha rincontrato Donato, suo vecchio compagno d'infanzia, si appresta sotto la supervisione di Tonio Colazzo, proprietario dell'albergo, ad accogliere la troupe del famigerato film. Una compagnia di stravaganti e stralunati ex attori all'ultima spiaggia, caratteristi e maestranze demotivate, tra cui spicca però lei, la star femminile all'ultima chiamata professionale utile, sogno adolescenziale proibito di un'intera generazione di ragazzini non solo pugliesi, tra cui, neanche a dirlo c'è proprio Federico...

C'è tutta l'Italia (passata certo, ma anche presente) sotto il lenzuolo del tarantino – trapiantato a Milano – giornalista e scrittore Giuliano Pavone. Un'italietta osservata dal basso del profondo sud, l'inventato Sprusciàno, ancora ingenua nel suo grottesco provincialismo (quello del rito della schedina, della furbizia a buon mercato, del mundial vinto in canottiera e birra Raffo, ma sopratutto quello delle commedie banfiane di serie B con Bombolo e Jimmy il Fenomeno che strabuzzano gli occhi davanti alla bellona tutta curve che si sfila l'autoreggente prima d'infilarsi sotto la doccia), ma già irrimediabilmente pronta ad accogliere il nuovo vento di quella lobotomizzazione di massa che di lì a qualche anno l'avrebbe rivoltata come un calzino. Così il giovane Federico che nella prima parte del romanzo appare svogliato, cinico, senza arte ne parte, intento solo nel puerile gioco della competizione amorosa con Donato, suo vecchio amico – ma subalterno, sia nella vita che nell'amore – grazie all'improvisa e luccicante apparizione della starlette cinematografica Morena Dani (ultima discendente delle famose donne da buco della serratura tanto in voga nelle commedie pecorecce anni '80), trent'anni dopo farà la sua comparsa proprio nella stessa Sprusciàno, ma questa volta da imprenditore, dopo essersi fatto da solo al nord, grazie alla sola furbizia parassita e a geniali colpi di culo, sfruttando il furbo filone del Puglia pride che improvvisamente ha preso a magnificare il mondo grazie al business della riscoperta delle vecchie tradizioni culturali. E così il vecchio e decadente Paradise, improbabile set di un altrettanto improbabile produzione cinematografica che servirà solo a regalare al vecchio protagonista un momento di malinconia nel rivederla riprodotta su un'anonima televisione locale, diventerà trent'anni dopo un Centro congressi e il Castelletto, la vecchia residenza di famiglia, diverrà addirittura un lussuoso art residence dove i turisti stranieri e non, possono ammirare l'intero campionario, riantichizzato ad arte, di un Salento che in realtà non c'è più. Pavone armonizza lo stile con leggera e malinconica ironia, con una penna sempre capace di regalare divertimento e riflessione, sin dalle prime pieghe del romanzo. Insomma dopo il fortunatissimo esordio de L'eroe dei due mari, buona anche la seconda per Pavone, che sotto il lenzuolo, a differenza del vestito, ci mette davvero tanto.