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1918 - La grande epidemia

1918. la grande epidemia grippe

Pomeriggio del 9 novembre 1918, Parigi. La radio ha appena annunciato l’abdicazione del Kaiser, la guerra è finita e la gente si è subito riversata festeggiando. Intanto all’ultimo piano di un palazzo di Bolulevard Saint-Germain il poeta Guillaume Apollinaire, al secolo Wilhelm de Kostrowitcki, sta morendo a trentotto anni di una forma influenzale nota come “Spagnola” (la denominazione corretta sarebbe in realtà “influenza americana” perché i primi casi sono stati registrati all’inizio del 1918 in un centro di addestramento militare del Kansas). Pochi giorni prima Apollinaire ha sussurrato al suo medico: “Dottore, mi salvi. Voglio vivere, voglio vivere, ho ancora tante cose da dire”… L’8 gennaio del 1919 un trafiletto sul “Los Angeles Times” getta nel panico milioni di fan: la più famosa e amata attrice cinematografica del momento, Mary Pickford, è a letto con la Spagnola. Per fortuna il 25 gennaio esce l’annuncio della sua guarigione: merito di un medico zelante e di due infermiere che la assistono giorno e notte, ma soprattutto merito del suo sistema immunitario già “collaudato” da un’infanzia di miseria e malattie potenzialmente letali come difterite, polmonite e tubercolosi, dalle quali si è sempre miracolosamente salvata… Il 3 aprile 1919 il Presidente degli Stati Uniti Thomas Woodrow Wilson abbandona di colpo la sala dove sono riuniti i rappresentanti di USA, Francia, Inghilterra e Italia per pianificare gli equilibri politici post-Prima guerra mondiale: ha una furiosa emicrania, mal di schiena, diarrea e tosse, oltre che la febbre a 39. La voce si diffonde rapidamente nelle diplomazie mondiali malgrado le iniziali smentite: è Spagnola. Un membro del suo staff, il venticinquenne Donald Frary, muore dopo quattro giorni di agonia. Per due settimane invece Wilson si comporta in modo bizzarro e preoccupante. Alterna fasi di sonnolenza a improvvise esplosioni di energia, pare non rendersi conto della sua condizione, mostra sintomi paranoidi, è confuso. Il 14 aprile si alza dal letto e riprende il suo ruolo nelle trattative di pace ma – con somma sorpresa e un certo disappunto da parte dei suoi collaboratori – assume posizioni del tutto diverse da quelle di dieci giorni prima. Colpa dei danni cerebrali causati dal virus?... Autunno 1918, Vienna. Il controverso pittore Egon Schiele, scampato a gravi accuse di pornografia e pedofilia, è finalmente felice: il valore della sua arte è riconosciuto, la moglie Edith è incinta di sei mesi. I giovani coniugi però contraggono la Spagnola: Edith muore il 28 ottobre (durante l’agonia lui ne fa dei ritratti struggenti e inquietanti), Egon la segue nella tomba tre giorni dopo, il 31 ottobre, a 28 anni…

I sei anni tra il 1914 e il 1920 sono stati davvero da incubo per l’Europa. Appena conclusa la Prima guerra mondiale - una carneficina spaventosa con i suoi circa tredici milioni di morti - ecco piombare sulla popolazione già stremata una pandemia di origine sconosciuta che fa più di cinquanta milioni di morti (qualche studioso afferma però che le vittime furono molte di più, quasi cento milioni) in due anni. Una forma influenzale di inedita violenza, battezzata Spagnola, capace di uccidere in poche ore anche giovani in perfetta forma fisica e che ha messo duramente alla prova le autorità sanitarie e politiche, per la prima volta costrette ad adottare su larga scala misure restrittive per limitare i contagi. “La Spagnola ha lasciato cicatrici profonde nella memoria di chi è nato e cresciuto nel Novecento. (…) Non c’è quasi album di famiglia senza il suo morto o contagiato dalla grande epidemia”, spiega Riccardo Chiaberge, giornalista e direttore scientifico del Libro dell’anno dell’Enciclopedia Treccani nell’introduzione a questo saggio magnifico e insolito nella struttura. “Quello che manca è la memoria pubblica, collettiva”, aggiunge. Dove sono i sacrari, i monumenti dedicati a quei milioni di morti? Dove sono i documentari, le serate commemorative in tv, i film o i romanzi ambientati durante la pandemia di Spagnola? Perché – anche e soprattutto allo scatenarsi della pandemia di COVID-19 – nessuno pareva ricordare la Spagnola, le mascherine, gli ospedali al collasso, il panico, la strage? Perché è sembrato tutto una novità mentre non lo era affatto? È come se gli anni Venti avessero portato con loro una inarrestabile voglia di rimozione, una comprensibile necessità di oblio che hanno cancellato la spaventosa pandemia dalla memoria degli Europei. Chiaberge ci ricorda invece che tutto questo è successo davvero, che dietro a quei numeri giganteschi ci sono persone. E per farlo ci racconta le storie di alcuni personaggi famosi che sono morti di Spagnola oppure che si sono salvati: Apollinaire, Mary Pickford, Woodrow Wilson, Egon Schiele, Walt Disney, Yakov Sverdlov, Leó Szilárd, Margherita Kaiser Parodi Orlando, Mark Sykes, Sophie Freud, Franklin Delano Roosevelt, Leopoldo Torlonia, Edvard Munch, Mohammed Abdullah Hassan, Anton Dilger. Entrare dentro alle storie personali – seppure di persone non comuni – le rende concrete e ci restituisce con forza inedita un evento globale di portata enorme che sarebbe ora di tornare a ricordare davvero.