
Francesca e Gabe sono la classica coppia felice, la cui vita scorre senza intoppi particolari. Francesca è in dolce attesa di due gemelle e, nonostante non sia più giovanissima, la gravidanza procede senza complicazioni. Ma allo scoccare delle ventinove settimane di gestazione, la futura mamma si sveglia in un letto bagnato del suo sangue e, nonostante le perdite sempre più frequenti e copiose, non si preoccupa. Cosa potrebbe mai capitarle? Pochi giorni dopo, senza alcun preavviso, le sue due bambine nascono con ben sette settimane di anticipo rispetto al termine previsto. Sono piccole, la loro pelle è traslucida, le unghie non si sono ancora formate, figurarsi i polmoni. La Gemella A e la Gemella B, poi soprannominate A-lette e B-lette, sembrano solo “una bozza” delle bambine che potrebbero diventare. Da quel momento, la loro nuova casa diventa la TIN, la Terapia Intensiva Neonatale, tra sondini nasogastrici, tirature di un latte che non era ancora pronto ad arrivare e due genitori completamente disorientati e accecati dal dolore. Ciò che contribuisce a evitare che Francesca crolli del tutto sono le altre mamme di bambini prematuri, che le insegneranno dei trucchetti per la sopravvivenza che la donna ignorava completamente, convinta che niente potesse andare mai per il verso sbagliato. La storia di una famiglia in divenire costretta a prendere decisioni difficili, a un distacco forzato dalle proprie figlie, di fronte a responsabilità molto più grandi di due bambine di 600 grammi ciascuna...
Leggere 56 giorni significa fare un tuffo in un’esperienza di maternità che ha poco o nulla a che vedere con il concetto gioioso e stereotipato a cui siamo abituati. La nascita prematura delle bambine di Francesca è tratta dalla sua storia personale, da giorni realmente passati in una terapia intensiva di un qualche ospedale inglese, con una domanda fissa in testa: riuscirò mai a riportare le mie figlie a casa? Il gruppo di supporto che si crea intorno a Francesca è meraviglioso quanto aspro, un insieme di tre mamme che si rallegrano vedendo i loro pargoletti pesare un chilo scarso. Una rete di sicurezza a cui il lettore non può fare a meno di affezionarsi, molto più presente rispetto a Gabe, il marito della protagonista, ridotto a una mera figura di sfondo che fa capolino ogni tanto. I sentimenti descritti dalla Segal sono profondi e non seguono un climax ascendente o discendente: come nella vita vera, ci sono giorni buoni e giorni pessimi, in una montagna russa di emozioni positive e negative. La prosa scorre a meraviglia, si vede che l’autrice sa molto bene come usare le parole ed è apprezzabile l’idea di dividere la narrazione in capitoli molto brevi, considerato che l’ambientazione è statica e gli eventi potrebbero sembrare, alla lunga, ripetitivi. In sostanza, un romanzo ben scritto, della lunghezza giusta per non risultare stancante, che affronta un tema attuale e mai scontato: l’amore e l’istinto di protezione di una madre nei confronti delle sue figlie.