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7 aprile 1926 - Attentato al duce

7 aprile 1926 - Attentato al duce

Tra la fine del 1925 e durante tutto il 1926 il Duce del Fascismo S.E. Benito Mussolini subisce ben quattro attentati diversi, riuscendo come sappiamo a uscire incolume da ciascuno di essi. La propaganda di regime, però, sfrutta l’occasione per rinforzare il potere del Governo e del suo capo. Pochi mesi sono passati dall’omicidio di Matteotti e dall’Aventino e i fascisti pensano che sia il momento buono per fare il “salto di qualità”, per instaurare finalmente la dittatura. E così anche il gesto inconsulto, ma inefficace, di Violet Gibson viene plasmato, trasformato e usato dal regime per accentrare nelle mani di Mussolini ancora più potere. Siamo nell’aprile del ‘26 quando un’anziana nobildonna irlandese, massona e convertita al cattolicesimo, lascia il convento di suore in cui ha risieduto nei giorni precedenti per raggiungere piazza del Campidoglio e sparare al Duce del Fascismo. Mussolini, dal canto suo, sta salutando alcuni camerati e, forse proprio grazie alla torsione del capo dovuta al braccio alzato, riesce a cavarsela con un leggerissimo graffio sul naso. La Gibson viene prontamente arrestata e, essendo in realtà ben più lucida di quello che vorrebbe far credere per evitare il carcere, cambia più volte la sua versione dei fatti. Il tribunale speciale, prontamente istituito per gestire casi di questo tipo secondo la giurisdizione militare, incarica due luminari (il prof. De Sanctis e il prof. Giannelli) di condurre una perizia psichiatrica per accertare lo stato di salute dell’imputata. L’anziana donna era veramente fuori di sé? E soprattutto, ha agito da sola o come longa manus di gruppi antifascisti più o meno dichiarati?

Quella di Lombardo, qui riportata insieme a interventi di De Longis, Romano e Tessitore, risulta essere un’analisi lucidissima di uno degli anni più controversi del regime fascista. Che la propaganda mussoliniana abbia trasformato il corpo del Duce una reliquia, mentre questi era ancora in vita, è cosa nota: non deve, quindi, stupire che tanta attenzione (anche storiografica) sia concessa a chi, quella reliquia, ha tentato di distruggerla. Il caso di Gibson è molto particolare: a differenza degli altri tre attentati che si organizzarono in quei mesi, infatti, qui si riporta l’unico in cui la matrice politica e ideologica sembra apparire meno forte. E a nulla sono valsi i tentativi, a dire il vero molto controversi, della Gibson stessa di coinvolgere nobili italiani, massoni e antifascisti come lei. Fin dai resoconti giornalistici apparsi sul “Corriere della Sera” o su “Il popolo d’Italia”, infatti, si è subito messa in dubbio l’integrità della salute mentale della Gibson e lei stessa ha più volte tentato lucidamente di avallare per evitare la pena di morte e far rientro in Italia. Ma allora non significa davvero niente che nei giorni precedenti all’attentato Violet Gibson abbia alloggiato a pochi passi da un covo di massoni contrari al regime? E non hanno alcun valore i racconti dei suoi compaesani che la ricordano, quando ancora viveva a Dublino, mentre inveisce contro il Duce e il regime illiberale e violento che sta instaurando in Italia? Le domande di Lombardo sono tutte legittime, soprattutto negli anni in cui, nella sua patria natìa, si sta esaltando il gesto di Violet come quello di una donna capace di difendere le proprie idee di democrazia e libertà. Ma a queste legittime domande si potranno trovare risposte non banali?