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Abito da sera

Abito da sera

Giappone, anni ’60. Il torneo ippico d’autunno del Club Imperiale d’Equitazione è uno egli eventi mondani clou dell’alta società nipponica, e la signora Takigawa – vedova di un ambasciatore, una delle regine del jet-set di Tokyo e provetta cavallerizza – non può certo mancare. Anzi, si occupa attivamente dell’organizzazione, e tra le ragazze dello staff sembra aver preso particolarmente in simpatia Ayako Inagaki, bella e mite figlia di un imprenditore farmaceutico e inesperta cavallerizza lei stessa. Quando arriva il giorno del torneo e la Takigawa fa di tutto per far sedere Ayako vicino a suo figlio Toshi, scapolo un po’ scapestrato ma fascinosissimo, la ragazza subodora qualcosa, e quel qualcosa molto presto diventa un omiai, cioè un incontro rituale per combinare un matrimonio. Toshi e Ayako si innamorano, a dire il vero, ma la madre di lui diventa sempre più invadente...

Originariamente pubblicato in 16 puntate tra il settembre 1966 e l’agosto 1967 sulla rivista femminile “Mademoiselle”, Abito da sera è solo apparentemente una storia romantica destinata a un pubblico femminile (e nemmeno tanto esigente) o perlomeno è anche qualcos’altro: una satira sociale, feroce ma amaramente divertita. Sotto lo sguardo sarcastico di Mishima mostrano la loro incongrua miseria i vuoti formalismi tipici di tutte le borghesie, ma anche un vizio per così dire “specifico” dell’alta borghesia giapponese del dopoguerra e a lui particolarmente inviso – come si sa – e cioè l’ostentata occidentalizzazione della cultura nipponica. Il romanzo non è certo tra i migliori di Yukio Mishima. Una curiosità: i continui riferimenti all’ippica sono in qualche modo autobiografici, perché lo scrittore e la moglie sono stati appassionati cavallerizzi e non era raro incontrarli per la strada mentre passeggiavano con pantaloni alla zuava e stivali d’ordinanza.