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In acque profonde

Per David Lynch le idee sono simili a pesci e più si va in profondità più c’è la possibilità di accalappiare un pesce bello grosso. A ciò bisogna anche aggiungere che ogni cosa è interconnessa e se ci si fossilizza solamente sul qui e ora, da intendere come assoluto, si perde la visione d’insieme di un universo che cospira e ispira chi lo sa intendere. All’inizio la meditazione sembrava una perdita di tempo, un qualcosa di bello sulla carta ma totalmente irrealizzabile. Eppure, la possibilità di ricercare una felicità all’interno di sé era un richiamo troppo allettante per non fare almeno un tentativo. La prima immersione è avvenuta nel 1973, al centro di meditazione trascendentale di Los Angeles, un’esperienza unica, un accompagnamento in un oceano familiare di coscienza e di ricettività pura. Tu sei quell’oceano, e sei felice di poter nuotare sicuro dentro te, con la sicurezza di una felicità reale, non illusoria né artificiale. Da lì Lynch non ha più saltato una sessione di meditazione in trentatré anni, prendendosi i suoi quaranta minuti quotidiani, venti al mattino e venti al pomeriggio, per parlare con se stesso…

“Le idee sono simili a pesci. Se vuoi prendere un pesce piccolo puoi restare nell’acqua bassa. Se vuoi prendere il pesce grosso, devi scendere in acque profonde”; da questa frase prende il titolo questa rapsodica raccolta di pensieri su “meditazione e creatività” firmata da David Lynch, l’acclamato regista autore di pellicole quali Mulholland Drive, Velluto blu e Strade perdute. Questo libro, proprio come molti suoi film, non segue un ordine lineare. Si tratta generalmente di una serie di argomenti, sui quali Lynch spende una o due paginette, riuscendo comunque a essere chiaro nella sua brevità. I temi toccati spaziano dalla meditazione trascendentale – in cui il cineasta statunitense crede molto, tanto da esserne acceso divulgatore – al rapporto con la creatività e con il proprio mestiere, fino a qualche aneddoto sulla realizzazione di alcuni dei suoi film più celebri. Ripeto, non si tratta di un lavoro ordinato e si vede Lynch passare dall’utilizzo delle videocamere digitali ai suoi incontri con Fellini e Kubrick nell’arco di un paio di pagine, per poi finire sul set di Inland Empire o sentirlo parlare di campo unificato e stati di coscienza. Gli appassionati (di aneddotica, ma non solo) sicuramente troveranno pane per i loro denti, con un compendio che, pur non favorendo l’interpretazione di alcune criptiche sequenze – ad esempio sulla chiave e la scatola di Mulholland Drive, Lynch si limita a dire di non avere la più pallida idea di cosa siano – aiuta a far luce sull’iter creativo di uno degli autori più apprezzati del cinema mondiale. L’opera, inoltre, con il suo linguaggio chiaro, trasmette immediatamente serenità e voglia di mettersi al lavoro, convincendo anche chi è più scettico a provare, non necessariamente tramite meditazione, a espandere le proprie percezioni sensoriali ascoltando maggiormente ciò che alberga dentro di noi e ciò che vive fuori. L’interconnessione tra uomo e spiritualità, in un rapporto ora lineare ora burrascoso, è forse uno dei temi dominanti della complessa produzione lynchana e, leggendo queste pagine, si comprende quanto tali rapporti appaiano in filigrana in più o meno tutti i suoi film, tra simbolismi, carrellate oniriche e scelte spiazzanti.