
In piemontese ciabòt vuol dire casetta di campagna. Quella dove è nato Adriano è sulla collina di Monte Navale. È rossa e ha il pergolato d’uva. Si chiama Villa Emma. Emma è la zia di Adriano. È la seconda casa della famiglia. Ivrea non è lontana. Quasi si vede. In città, la dimora è in Via Palma, che oggi si chiama Via Quattro Martiri, ed è in centro. Dove abitano le famiglie di religione ebraica. La mamma di Adriano, Luisa, è valdese. Non ce ne sono pochi in Piemonte. Il padre di adriano, Camillo, è ebreo. Camillo è uno che si è fatto da sé. È rimasto orfano di padre a un anno. La madre, donna assai colta, l’ha fatto studiare. Lo ha messo in collegio. È andato in America. Insegna persino fisica, per cinque mesi, a Stanford. Poi torna. Ha ventisette anni. A Ivrea tira su un edificio di mattoni rossi in mezzo ai prati vicino alla stazione, sotto al Monte Navale. Ha dei soci e una trentina di operai. Li istruisce lui stesso. Fabbricano strumenti di misurazione elettrica. Adriano nasce l’undici di aprile del 1901. Adriano di cognome fa Olivetti…
La domanda che campeggia sulla quarta di copertina della bella, asciutta, dettagliata e niente affatto noiosa biografia che Ochetto dedica ad Adriano Olivetti si chiede se si possa essere al tempo stesso industriali e rivoluzionari. Beh, si può dire senza tema di smentita che quantomeno Olivetti ci abbia provato. Imprenditore, ingegnere, fondatore di un movimento sociale e politico, antifascista, urbanista, deputato nella terza legislatura, editore, credeva nel reinvestimento del profitto a beneficio della comunità. Le sue fabbriche sono state all’avanguardia. Non solo dal punto di vista produttivo, anche se si può dire in un certo senso che i computer non siano nati nella Silicon Valley ma a Ivrea, e che la sua celeberrima macchina per scrivere, fedele compagna di tanti intellettuali e non solo, è stata un tale modello di design da finire esposta al Moma, ma anche per il trattamento riservato ai lavoratori. Meno ore alla catena di montaggio, più tempo per istruirsi, per stare con le famiglie, per vivere. Il grande pubblico e le ultime generazioni hanno forse (ri)scoperto la figura di Olivetti grazie alla premiata interpretazione televisiva di Luca Zingaretti. Per chi volesse approfondire, il volume di Ochetto è una interessante opportunità.
La domanda che campeggia sulla quarta di copertina della bella, asciutta, dettagliata e niente affatto noiosa biografia che Ochetto dedica ad Adriano Olivetti si chiede se si possa essere al tempo stesso industriali e rivoluzionari. Beh, si può dire senza tema di smentita che quantomeno Olivetti ci abbia provato. Imprenditore, ingegnere, fondatore di un movimento sociale e politico, antifascista, urbanista, deputato nella terza legislatura, editore, credeva nel reinvestimento del profitto a beneficio della comunità. Le sue fabbriche sono state all’avanguardia. Non solo dal punto di vista produttivo, anche se si può dire in un certo senso che i computer non siano nati nella Silicon Valley ma a Ivrea, e che la sua celeberrima macchina per scrivere, fedele compagna di tanti intellettuali e non solo, è stata un tale modello di design da finire esposta al Moma, ma anche per il trattamento riservato ai lavoratori. Meno ore alla catena di montaggio, più tempo per istruirsi, per stare con le famiglie, per vivere. Il grande pubblico e le ultime generazioni hanno forse (ri)scoperto la figura di Olivetti grazie alla premiata interpretazione televisiva di Luca Zingaretti. Per chi volesse approfondire, il volume di Ochetto è una interessante opportunità.