
La voce narrante del libro racconta diversi episodi della sua vita, a cominciare ad esempio dal suo primo incontro con una cannuccia. Sulle prime è convinto che l’acqua possa salire lungo la cannuccia da sola, poi i suoi genitori gli dicono che deve aspirare e lui lo fa, ma l’acqua arriva solo a lambire le sue labbra prima di ridiscendere nel bicchiere. Assistendo a questa scena, i genitori cominciano a discutere tra loro per capire da chi abbia preso il bambino, ma è lui stesso a risolvere la questione affermando di avere preso dalla nonna. Peccato che sia proprio la nonna in questione a smentirlo… Crescendo e andando alle elementari, il protagonista si trova coinvolto nei classici giochi tra bambini. Come spesso accade in questi casi, all’interno del gruppo emerge ben presto la figura di un leader, che dice agli altri cosa devono fare. Il protagonista però è insofferente a questa condizione e così decide di ribellarsi, proponendo una soluzione alternativa: ogni giorno verrà deciso un capo nuovo, in modo da dare a tutti le stesse possibilità. Tutti i bambini accettano entusiasti e decidono che per quel giorno il capo sarà proprio il protagonista, che però si trova ben presto a disagio perché non sa esattamente cosa far fare agli altri. Quell’episodio gli fa capire che pur non essendo in grado di comandare, gli dispiace altrettanto essere comandato, cosa che lo porterà, crescendo, a evitare il più possibile le compagnie e a prediligere la solitudine…
Recensire un libro come Agnello Leone Maiale Scimmia non è facile, perché ci troviamo di fronte a un testo assai poco convenzionale, che esce da tutti i canoni e gli stilemi riconosciuti. Il primo elemento spiazzante è rappresentato dal linguaggio, che rifugge da ogni forma di mimetismo realistico per adottare un tono desueto, anche nel momento in cui deve riportare eventi del tutto quotidiani e consueti. Ad esempio, per descrivere la discussione tra bambini che devono scegliere chi dovrà essere il “capo della banda”, vengono usate espressioni come “Criticai il suo atteggiamento (...) e l’ingiustizia dell’egemonia che ogni giorno aveva il privilegio di praticare sui nostri interessi, e gli dichiarai che se poteva godere di quel rilievo era soltanto perché noi glielo permettevamo” che sono lontane anni luce da qualsivoglia tipo di registro parlato. E che dire poi del fatto che, davanti a tale discorso, tutti gli altri bambini reagiscano in modo entusiastico, “tracciando nuove argomentazioni a suffragio della mia accusa”? Oppure del fatto che il precedente capo del gruppo decida di rinunciare alla sua posizione, “professandosi un sincero democratico”? Il secondo elemento straniante è costituito dal fatto che i diversi episodi narrati non sembrano essere legati da nessuna apparente connessione logica o progressione di significato. Tra l’altro, il primo a essere consapevole di questa assenza di coerenza interna sembra essere proprio l’autore, che giunti a un certo punto decide di saltare a piè pari “il tempo della vecchiezza” per parlare direttamente della propria morte. Dinanzi a un’opera così particolare il lettore non ha che due strade dinanzi a sé: ammirare il coraggio e la competenza linguistica dello scrittore, oppure cadere vittima della noia per una narrazione che si ripete sempre uguale per tutte le pagine del libro, senza mai offrire il minimo guizzo o la minima variazione.