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Al limite della notte

Al limite della notte

Ethan, o meglio Erry (l’errore), si fermerà un po’ a casa Harris. Peter e Rebecca si trovano sul sedile posteriore di un taxi, bloccati nel traffico di New York. Sono sposati da oltre vent’anni, conducono una vita agiata, invidiabile. Entrambi lavorano nel campo dell’arte. Socialmente ben inseriti, vivono in un bellissimo loft. Conversano per occupare il tempo, tra le avvisaglie di un mezzo litigio, prima di raggiungere una festa ovviamente ritardatari. Rebecca teme che Peter sia infastidito da questa seccatura, ospiteranno per un tempo indefinito il suo problematico fratello, fonte di angosciose preoccupazioni. Dovranno porgli dei limiti. Avrà di nuovo cominciato a farsi? Da un anno è ormai pulito, smetteranno mai di pensarlo tossicodipendente? Erry sembra intenzionato a “fare qualcosa nel campo delle arti”. Non sembra possedere alcuna vocazione per il settore eppure è un sollievo sapere che sta manifestando una qualunque “inclinazione costruttiva” piuttosto che sprofondare nell’abuso di sostanze. Rebecca spera che suo fratello sia pronto a vivere una maggiore stabilità. Faranno il possibile perché sia così, sostiene Peter. Il traffico è ancora paralizzato, pare che un cavallo (uno di quelli che tirano le carrozze dei turisti) sia stato investito da un’auto a Broadway. Peter è sorpreso, è ipnotizzato dalla carcassa del povero animale e dai rottami dell’auto. Come un presagio permea l’atmosfera, a tratti opprimente, talvolta liberatoria. Uno scossone alla banale routine, ad una stanca reiterazione di gesti sempre uguali a loro stessi...

Michael Cunningham, vincitore del Premio Pulitzer con il celebre Le ore, riesce a sondare le profondità dell’abisso umano senza perdere l’eleganza della sua prosa. I dialoghi interiori sono immediati, decisi e mutano tempestivamente seguendo il flusso di pensiero del protagonista, senza filtri, immune dalla vergogna che accompagna il giudizio. Al limite della notte è un romanzo complesso. Può condurre all’errore di giudicarlo frettolosamente leggendo le prime pagine, riducendosi al racconto delle perversioni di un uomo di mezza età attratto dal cognato giovane ed incredibilmente bello. Solo chi scava sotto la superficie riesce a cogliere la profondità nascosta. Non è la storia di un uomo che, reprimendo le proprie pulsioni, si scopre improvvisamente omosessuale. Peter è un uomo complicato, ingarbugliato nei suoi pensieri tortuosi, difficilmente comprensibili, che trovano radici nell’infanzia trascorsa all’ombra del fratello Matthew, ragazzo omosessuale, profondamente bello e libero, morto all’età di ventidue anni. Erry non rappresenta solo l’uomo giovane, seduttore noncurante della sua bellezza. Incarna il fratello scomparso, eccentrico e talentuoso, la moglie Rebecca nel pieno della giovinezza perduta, Bea, la figlia assente, praticamente una sconosciuta di cui fatica a comprendere le modeste e apatiche scelte di vita. Peter, gallerista d’arte, per vocazione professionale è ossessionato dalla bellezza. Bambino ostile, adolescente difficile, adulto insoddisfatto. La sua è l’inquietudine della tensione creativa costante, che non riesce a tollerare, per quanto rassicurante, la quotidiana ordinarietà. Tormentato dall’insonnia e da terribili bruciori di stomaco, vive sull’orlo del vuoto come il fantasma di se stesso. Nessun eroismo o genio nascosto. Erry, il “principe inquieto”, diventa la sua opera d’arte preferita, raggiunge la massima bellezza nell’attimo effimero che apre ad infinite possibilità, è il sogno di se stesso: potrebbe fare cose notevoli, appellandosi alle sue doti brillanti, oppure potrebbe perdersi per sempre nelle droghe. Cosa si intende per bellezza? Non cerchiamo la corrispondenza ad un canone. La bellezza riguarda la possibilità di creare noi stessi. Vogliamo creare l’inedito rompendo il consueto. La necessità di esperienze straordinarie evidenzia la nostra incompletezza, la nostra difficoltà di adattamento al mondo. In realtà più spesso di quanto vorremmo ci consegniamo al conformismo perché siamo animali sociali come scrisse Aristotele. Tra bisogno di continuità e tensione verso l’inedito necessitiamo della relazione con l’altro per definire la nostra identità e per soddisfare il nostro bisogno di protezione. “Che livello di disperazione bisogna raggiungere per sopportare la separazione, andarsene e vivere la propria vita senza qualcuno che ci conosce a fondo?”.