
In un’atmosfera allucinata, da incubo angoscioso, sul palcoscenico si incrociano alcuni personaggi che vivono in bilico tra un passato che non vuole dileguare e un presente altrettanto disturbato. Protagonista è anzitutto Alba, un’attempata signora dal passato sentimentalmente burrascoso. Poi c’è Uomo, un soggetto privo di identità specifica, anch’egli ormai anziano, e a suo tempo sentimentalmente legato ad Alba. E c’è poi J. Alba, replicante meccanica della protagonista, di cui ricalca perfettamente i tratti giovanili. Frutto di un algoritmo, quest’ultimo essere meccanico è stato espressamente congegnato per cristallizzare ricordi, sentimenti, vicende, vissute a distanza di decenni da Alba. Quest’ultima è studiosa di arte, ossessionata dall’allucinata opera pittorica i Bosch: quel Giardino delle delizie che raffigura simbolicamente la creazione, dall’inizio fino allo schianto apocalittico. Il quadro fa da contrappunto alla disturbata relazione che Uomo intreccia con J. Alba, in cui ritrova l’antica immagine della donna amata. Ma si tratta, appunto, di un amore minato dalla nevrosi, inquinato dal trionfo di una tecnologia pervasiva che mette in scacco l’umanità…
La storia paradossale di Alba, J. Alba e Uomo si dipana tra continui slittamenti temporali, infrangendo in tal modo ogni forma di linearità logica. L’autore, affermato drammaturgo catalano, imbastisce un dramma che cattura per diversi motivi: per la qualità della scrittura teatrale, densa ed efficace, impreziosita da riferimenti colti; per il gusto per la sperimentazione scenica, infiltrando altri mezzi espressivi per arricchire la scena; per il tema scelto e declinato in modo accattivante. L’incubo di un futuro dominato da replicanti umani, troppo umani, si incrocia infatti con elementi attinti dal fondo oscuro della psiche. In scena è così il cupo sogno di una clonazione tecnologica che sconfigga in qualche modo l’inarrestabile dileguare del tempo, con il conseguente declino fisico e psichico del soggetto. Con un esplicito richiamo all’opera più celebre di Oscar Wilde, in cui la vecchiaia di Dorian Gray è magicamente risucchiata in una tela. Ma senza alcun elemento demoniaco, nel senso che l’uomo tecnologico è egli stesso apprendista stregone e demone.