
Hanno combattuto per il loro capitano senza risparmiarsi, rivelando il coraggio e la forza che fin dall’inizio hanno mosso la loro volontà di guerrieri, dimostrandosi sempre fedeli agli ordini “Dèspota, andammo e combattemmo, sempre / fedeli al tuo comandamento”. Adesso meritano il giusto riposo, in un paesaggio ameno e di classica ispirazione, affinché trovino la pace all’ombra dell’alloro – che renderà loro la gloria dovuta – immersi in un contatto profondo e assoluto con la freschezza della natura… Il fanciullo è fonte di ispirazione per l’arte e la poesia fin dai loro albori. Ha richiamato l’attenzione di Luca della Robbia, di Donatello e degli artisti rinascimentali, simbolo della bellezza della natura, impresso nell’immaginario degli uomini di ogni era storica. Con il suo strumento fatto da una canna variamente forata “nell’orto di quel fauno / tu cogliesti la canna pel tuo flauto” il fanciullo suona melodie che si modulano al paesaggio e ne ripropongono i caratteri, si immerge totalmente nel creato assimilandone in sé ogni componente. Il poeta lo rincorre nella natura, lo scorge nelle ombre ma lui continua a fuggire: per D’Annunzio il fanciullo è la giovinezza caratterizzata da profonda sensibilità, nell’immediatezza delle emozioni… La sera scende lentamente, mentre il sole si nasconde dietro l’orizzonte e lascia che la luce suffusa della Luna avvolga il paesaggio in un manto d’argento. Ogni componente della natura si carica di un significato simbolico: le foglie degli ulivi che si tingono di giallo sulla punta ricordano la santità “e su gli ulivi, su i fratelli ulivi / che fan di santità pallidi i clivi / e sorridenti”, l’erba che sta seccando viene trasformata dalla personificazione in un essere capace di provare dolore e rappresenta la sofferenza, perché provata dal taglio della falce “e su’l fieno che già patì la falce / e trascolora”. La linea delle colline fiesolane assomiglia a una bocca, in loro si nasconde un segreto e mentre il poeta le osserva sopraggiunge la notte, che in un accostamento al Cantico delle creature è simbolo della morte… Il poeta conduce Ermione – l’attrice Eleonora Duse, la donna che ama – nell’atmosfera della pineta di Forte dei Marmi bagnata dalla pioggia, in una compenetrazione assoluta dell’essere umano con la natura…
Maya, Electra e Alcyone sono le tre raccolte centrali delle Laudi, che rappresentano l’apice della poesia di Gabriele D’Annunzio. Nei primi due libri la fantasia del lettore viene trasportata in un viaggio immaginario nella Grecia antica, origine della bellezza dell’arte e della poesia, poi riportata al mondo attuale in un lungo percorso per le strade di numerose città, lodate per la loro importanza assieme ai personaggi della storia italiana. In Alcyone trova espressione compiuta il tema del panismo, momento creativo che si inserisce nel concetto di superuomo e insieme a questa forma di studio e comprensione della natura umana, è alla base dell’evoluzione del pensiero letterario e filosofico dell’autore. D’Annunzio nell’ultima raccolta delle Laudi ripercorre i momenti salienti e descrive le emozioni di un’estate trascorsa in Toscana con l’attrice Eleonora Duse, che nelle sue liriche viene condotta per mano in una immersione totale nel creato. Il contatto con la natura è presente nelle poesie della raccolta, anche là dove l’autore affronta temi personali o rivive i miti del passato; è una simbiosi assoluta con ogni elemento, la capacità di entrare dentro il paesaggio facendone al fine parte, in una ricerca costante delle emozioni che la natura suscita nell’uomo e che l’uomo desidera condividere con la natura stessa. C’è una magia in queste liriche che oltrepassa il tempo e lo spazio, come ogni opera letteraria destinata all’immortalità Alcyone potrebbe ispirarsi all’uomo antico e alla sua capacità di vivere in armonia con gli altri esseri viventi – dalle prime civiltà mesopotamiche agli indiani del Nord America – ma anche rappresentare un richiamo per l’uomo attuale e volendo persino per l’uomo del futuro, desiderosi di riscoprire la loro origine nel creato. Il tutto ci è stato lasciato da un poeta che ha voluto condividere con il lettore la sua estrema sensibilità, essenziale oltre alla preparazione letteraria e culturale in generale. L’autore nasce a Pescara nel 1863. Frequentando giovanissimo il rinomato liceo Cicognini di Prato, oltre a farsi conoscere per le sue virtù culturali e il suo carattere intraprendente, stupisce i coetanei quando, per pubblicizzare la sua prima raccolta di versi Primo vere, diffonde la falsa notizia della sua morte a causa di una caduta da cavallo. Vive in varie città d’Italia fino al tramonto del XIX secolo, per poi trasferirsi in Francia anche a causa dei suoi creditori che lo perseguitano. Partecipando alla Grande Guerra viene ferito e deve rinunciare a combattere fin quasi alla conclusione del conflitto, successivamente si fa garante dell’occupazione della città di Fiume per protestare contro le spartizioni territoriali decise alla pace di Parigi. Negli ultimi anni di vita abita nella villa faraonica del Vittoriale degli Italiani, a Gardone Riviera sul Lago di Garda, a spese del regime fascista. Muore nel 1938 per ictus celebrale.