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Alibi

alibi

Non è facile avere ricevuto un nome impegnativo come Ulisse, perché è un peso più che un’opportunità. Certo che se la sorte ha deciso di metterci in difficoltà, non contribuiamo mica corteggiando una donna che si chiama Penélope. Si aggiunga poi che per far quadrare il cerchio proprio con Penélope decidiamo di dare al nostro primo figlio il nome di Telemaco, così, per mettere tutti alla prova. La storia di Ulisse e Penélope inizia con un sms inviato al numero sbagliato: Ulisse voleva raggiungere la focosa Luana, con cui aveva rotto, e invece il destino l’ha messo in contatto con Penélope, ed è stato subito un sentimento di curioso piacere corrisposto. Trasferitosi dalla sua Sicilia nelle Marche, Ulisse, insegnante di latino e greco, decide di dare un senso al suo mestiere raccontando ai suoi alunni la storia di Paolo Borsellino e di Rita Atria, giovanissima testimone di giustizia che si tolse la vita una settimana dopo l’omicidio del giudice. I suoi alunni sono così colpiti dalla narrazione che chiedono al professore di scrivere un libro, che Ulisse ultimerà negli stessi giorni in cui nasce la seconda figlia, Rita. Il clamore per la presentazione del libro Sacra famiglia avvicinerà Ulisse ad un’altra enigmatica figura, Calipso, una poliziotta in incognito, che darà corpo alle tesi presentate da Ulisse nel libro riprendendo, con scaltrezza e competenza, le indagini sulla morte del giudice Borsellino. L’Odissea avrà allora inizio…

Al netto di alcuni barocchismi, inevitabili in una storia siciliana, il libro di Fabio Giallombardo è un buon prodotto sia per la ricostruzione storia sia per il plot narrativo, oscillante fra il metalibro, con scontato tentativo di sovrapposizione fra Giallombardo e Ulisse Marranzano, e la narrazione sbarazzina di uno scrittore quasi quarantenne che stacca il primo tagliando di revisione della sua vita. Entrambe le letture suggeriscono di ricercare piste interpretative nella chiave autobiografica. Certamente la costruzione del pensiero narrante mette in secondo piano le ridondanze e le forzature, tutte giocate sul mito epico del re di Itaca, e accompagna il lettore per mano nelle vicende del giudice Borsellino, ma soprattutto del giovane Ulisse. È una storia di quarantenni che per fare il punto sulla loro esistenza devono esorcizzare uno dei momenti più drammatici della fine della loro adolescenza, la guerra contro la mafia che mieteva vittime innocenti come Rita Atria e faceva piombare l’intera nazione in uno stato di terrore quotidiano. In quella ricostruzione si consuma il passaggio del ragazzo Ulisse, verso l’uomo Ulisse, passaggio che è scandito dalla consapevolezza definitiva dell’impegno militante. Da qui anche il titolo, Alibi, che in latino significa ‘altrove’: essere altrove è un alibi che non possiamo permetterci, come persone e come cittadini. Questa trovata linguistica è paradigmatica per avere un’idea della verve narrativa: lo stile è fluido, nonostante qualche digressione e qualche compiaciuto leziosismo, ma sicuramente si tratta di una narrazione godibile e per giunta anche utile.