
Nel 1991, con un investimento di circa 50 milioni di dollari, la famiglia trevigiana dei Benetton acquista quasi cento mila ettari di terra in Patagonia, diventando i più grandi e potenti latifondisti d’Argentina. L’investimento è coerente con il core business dell’azienda di famiglia – i Benetton, in quelle terre, allevano le pecore che forniscono la lana per i loro “colorati” maglioni-, ma apre anche alla possibilità di ottenere concessioni governative per la costruzione e la gestione di autostrade nel paese. La Patagonia, svenduta dai succedentisi governi argentini a multimiliardari locali e stranieri – oltre ai Benetton, Joseph Lewis, Henry Kissinger, Bruce Willis, Sylvester Stallone, Arnold Schwarzenegger e George Soros, per citare i più noti – è terra dalle grandissime risorse agricole, energetiche, minerarie che ben si presta allo sfruttamento estrattivista e capitalista multinazionale; e, come noto, questo spesso comporta sofferenze per le popolazioni locali. In questo caso i mapuche, che con la terra nutrono un rapporto diametralmente opposto, fatto di profondo rispetto, venerazione, compenetrazione materiale e spirituale, basata su un economia di sussistenza. Negli ultimi anni il termometro della tensione fra l’attivismo mapuche e le grandi corporation internazionali, come i Benetton, si è riscaldato, generando non solo una contesa sulla terra, ma mettendo anche a confronto due visioni antitetiche dell’uomo, dell’economia e del rapporto con la natura. La contesa raggiunse l’attenzione internazionale con la morte del giovane attivista Santiago Maldonado nell’agosto del 2017, durante la repressione poliziesca di una dimostrazione contro la famiglia di imprenditori italiani...
“Gli italiani hanno invaso la regione” dice un tizio a Bruce Chatwin nelle prime pagine di In Patagonia. La stessa cosa probabilmente devono aver pensato i mapuche che hanno visto trasformare, recintare e marchiare con cartelli “proprietà privata” da parte dei Benetton la loro terra ancestrale, su cui anche la costituzione argentina riconosce il loro diritto a stare. I problemi creati dalla gestione della famiglia italiana sono di varia natura: ambientali, sociali, etici. Nonostante essi abbiano sempre voluto costruire una narrativa di marketing improntata al rispetto per le diversità culturali e alla solidarietà, l’impresa Benetton in Patagonia mostra la vacuità di questo discorso costruito e autoriferito. Nelle terre dei Benetton i mapuche sono invisibili, o al più lavoratori da sfruttare. Questo agile libro aiuta a ricostruire e a fare il punto sulla questione “Benetton in Patagonia”, ricorrendo a una varietà di fonti e includendo anche interessanti appendici come lo scambio di lettere fra Luciano Benetton e il premio Nobel per la pace Pérez Esquivel o le interviste a Facundo Jone Huala, leader della RAM (Resistencia Ancestral Mapuche) il movimento, criminalizzato e tacciato di terrorismo separatista dai governi argentino e cileno, che mira al sabotaggio delle imprese multinazionali in Patagonia per difendere il diritto alla terra dei mapuche. È significativo il fatto che gli autori, come dichiarano, non siano riusciti a trovare un editore disposto a pubblicare queste pagine che accendono un riflettore sull’operato dei Benetton. Esce dunque con Le strade bianche ed è scaricabile gratuitamente dal loro sito.