
Emma Grace lavora nella casa editrice di suo padre Julius che non c’è più, la “Speedwell and Grace” di Londra. Vive in una mansarda in Lansdowne Road con la sorella Cressy (diminutivo di Cressidra, nome scelto dal padre come compromesso tra due opposti, Zenocrate e Joan). Una mattina quando si alza a preparare la colazione Emma la trova come sempre addormentata, ma reduce da una nottata di disperazione e lacrime. Se ne accorge dai tanti fazzoletti appallottolati lasciati ovunque, anche tra i cuscini del salotto. La causa di tanto piangere è il suo amante Dick che va a Roma nel fine settimana, ma non la porta con sé per paura che qualcuno possa vederli insieme, dato che è già sposato e scarsamente intenzionato a mollare la moglie. Cressy, invece, avrebbe desiderato tanto passare quei due giorni insieme, ma comincia a rendersi conto di non essere amata. Quella mattina, quando Emma esce per andare al lavoro, Cressy è ormai bella che consolata e pronta a lavarsi, vestirsi e rimettere in ordine i suoi folti e lucidi riccioli neri. Ma il pensiero di questa sorella così incline a struggersi per gli uomini ‒ soprattutto quelli meno adatti a lei ‒ piuttosto che interessarsi ai suoi pezzi suonati al pianoforte, non lascia Emma tranquilla. Anzi, è sempre più preoccupata: Cressy ha un futuro incerto, gli uomini le impediscono di concentrarsi sulla musica e a 37 anni, pur se con una piccola rendita, comincia a essere sempre più lontana dall’emergere come promessa del pianoforte...
L’ombra di Julius si stende su tutti gli eventi della famiglia, anche quando ormai sono passati venti anni dalla sua morte, pur se ricordato sempre come eroe di guerra. E sembra proprio che Julius si diverta a rivoluzionare le vite delle donne di casa sua (moglie e due figlie) come fa un colpo di vento del nord con le foglie d’autunno. Incredibilmente tutto si svolge in tre giorni, intensi perché intrisi di ricordi, ma pur sempre tre giorni, settantadue ore di confronti, cambiamenti, sorprese, incontri, verità celate. Non c’è nulla da aggiungere alle capacità indiscusse di Elizabeth Jane Howard (scrittrice della famosa Saga dei Cazalet, scomparsa nel 2014), ai suoi ritratti femminili che ritraggono la sua inquietudine di donna. Un plauso va alla sua traduttrice, Manuela Francescon, capace di trasferire in un italiano aulico e forbito lo stesso stile dell’autrice (definito “un miracolo” dalla critica letteraria e scrittrice Hilary Mary Mantel). Ci riporta indietro nel tempo anche attraverso le parole, parole che ci mostrano un arredamento di un certo tipo, proprio come se lo vedessimo, abbigliamento sempre diverso per i vari momenti della giornata e per le situazioni o gli ambienti differenti, come si era soliti fare nelle famiglie bene di qualche decennio fa. E poi c’è questa idea di fondo di una piccola casa editrice dove arriva di tutto, ma dove non si è ancora persa la speranza di poter “inciampare” nel libro del secolo, quello cioè che ti fa sentire come se avessi scoperto un piccolo tesoro.