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Altra gente – Un racconto del mistero

Altra gente – Un racconto del mistero

Qualcuno, chino sopra di lei, le chiede se si sente bene. Lei risponde di sì, apre gli occhi, e si mette a sedere: quel qualcuno non c’è più. Ma c’è molta gente, intorno, che cammina. È distesa su una barella bianca, in una stanza bianca. Quel luogo le sembra opportuno: si sente al sicuro. Un uomo vestito di bianco le si avvicina: la invita ad alzarsi, ad andare via. Le porge una borsa, e le chiede se tutte quelle cose dentro la borsa siano sue. Si alza. Ha difficoltà a camminare: i suoi piedi hanno strani prolungamenti ricurvi che le rendono difficile fare ogni passo. Si guarda meglio intorno: ci sono due categorie di persone: quelli vestiti di bianco, e gli altri che sono coperti da vestaglie di vari colori. Quelli vestiti di bianco trasportano o aiutano quegli altri. “Devo essere una di loro”, pensa: una di quegli altri. L’uomo la sospinge nel corridoio e le indica una porta. “Senza fermarsi, si imm[ette] nel flusso dei sorveglianti biancovestiti e dei loro affidati dal piede lento, verso i turbini di luce che si rincorr[ono] giocando sui muri incolori”. Si rende conto che può togliersi quelle fastidiose protesi dai piedi, e si precipita fuori. C’è gente anche fuori, e tutti continuano a muoversi; quelli che sembrano lesi, però, non sono guidati o trasportati da nessuno. Ci sono insegne e simboli dappertutto, ma lei ne ignora il significato. “Per impotenza o per mancanza di volontà - o forse solo di tempo - nessuno si pre[nde] la briga di impedirle di unirsi al frenetico traffico umano”. Mary si immette nel flusso della vita ma non sa più cosa sia la vita; e non sa neppure che, di lì a poco, deciderà di farsi chiamare Mary: ignora il suo vero nome e non ricorda nulla di sé; né ricorda il contesto che ha condotto quel sé fin dentro la stanza bianca, in quel luogo asettico che le ha dato un breve momento di conforto...

Martin Amis disegna una biografia in itinere e la inframmezza con inserti in cui la voce narrante rompe lo schermo della narrazione e commenta le vicende di Mary, ponendosi sullo stesso piano del lettore ma in una condizione di onniscienza rispetto ai fatti. Espediente, questo, che vivifica l’esperienza di lettura. La giovane Mary è una tabula rasa: qualcosa di terribile ha cancellato i suoi ricordi. E questo potrebbe essere un dono: l’opportunità di scegliere chi essere e cosa essere. Mary è una neonata: l’uscita dalla stanza bianca è il parto. La consapevolezza che i propri piedi si muovono più agilmente senza “quegli strani prolungamenti ricurvi” è la propriocezione. Mary si scopre, nella dimensione di un corpo che ha subito un affronto indicibile, e scopre il mondo. Romanzo di formazione e di trasformazione che delinea una parabola esistenziale: la purezza, che è il frutto del non conoscere nulla, si dissolve a contatto con le impudicizie che sono figlie della scoperta degli altri. Mary esce dal grembo della sua vita passata mentre Amis accompagna il lettore in un percorso a ritroso: lo seduce con la tenerezza delle sue fragilità; lo irretisce con il mistero che avvolge il suo passato; lo conquista con un registro di scrittura che trascina dentro l’anima confusa della protagonista. Un’anima in cui il bene e il male, la dimensione di vittima e quella di carnefice, si susseguono e, forse, si fondono. Ma ci si può davvero ridefinire senza la memoria di ciò che si è stati?