Salta al contenuto principale

#altrepagine – Le letture di chi scrive

#altrepagine – Le letture di chi scrive

Ispirato alla rubrica del «Guardian» Books that made me, originariamente apparso a puntate sulla «Gazzetta di Parma» tra 9 maggio 2020 e 31 luglio 2021, #altrepagine è un libro-intervista dedicato a raccontare, frontalmente, “le letture di chi scrive”: sessanta tra narratori, poeti, critici e saggisti, non necessariamente legati al territorio, hanno risposto a un questionario raccontando quale libro stavano leggendo in quel momento, quale libro ha cambiato loro la vita o almeno il modo di pensare, quale libro avrebbero desiderato scrivere, quale libro ha più influenzato la loro scrittura, quale libro reputano sottovalutato, quale libro li ha fatti piangere, qual è stato l’ultimo libro ad averli fatti ridere, quale libro non sono mai riusciti a finire, quale libro ammettono di non avere letto, cosa leggevano da bambini, se sanno leggere più libri contemporaneamente, se preferiscono i classici alle novità, come suddividono i libri, quali libri tengono sul comodino e quali scaffalati in libreria, quali sempre a portata di mano e infine cosa pensano rimarrà della loro opera, tra cento anni, e se pensano che ogni libreria sia come “una scatola degli attrezzi per lo stagnaro”, per gli scrittori e gli addetti ai lavori, in genere. Tra gli artisti prescelti, due tra i massimi narratori contemporanei viventi, vale a dire Filippo Tuena e Francesco Permunian, poeti prestati al giornalismo come Andrea Di Consoli, leali interpreti della propria gente come l’arbëreshë Carmine Abate, fumettari come Leo Ortolani, critici apprezzati come Matteo Marchesini, giallisti come Carlo Lucarelli; e ancora, apprezzati narratori come Eraldo Affinati e Aurelio Picca, outsider più o meno improbabili come Gene Gnocchi, eleganti maestri dell’autofiction come Walter Siti, (ex) giovani di talento come Vanni Santoni. Vale la pena segnalare, a beneficio di chi sfoglierà questo libro tra diversi anni e forse avrà perduto un poco di memoria di questa epoca nostra, che le interviste sono state pubblicate tra una quarantena e l’altra, nel biennio (sin qua) più offeso e in generale più caratterizzato dalla pandemia del Covid, destinata a essere eternata per le eccezionali misure di contenimento adottate da diverse nazioni tanto asiatiche quanto occidentali; per le intelligenze intervistate si è trattato di un periodo di ovviamente inattesa e spesso maggiore autonomia o addirittura, prevedibilmente, periodicamente di circa isolamento: le risposte andranno catalogate e studiate considerando anche un aspetto come questo, da varii punti di vista...

La vita di Filippo Tuena è cambiata dopo la lettura di Camus (La peste), quando non era nemmeno maggiorenne; Il Castello di Kafka è il suo ultimo tabù; Ultimo parallelo è ciò che rimarrà della sua letteratura. Vanni Santoni si dichiara profondamente influenzato da Andrea Pazienza e da Hubert Selby Jr., per via del parlato; ha pianto leggendo il funerale di Boromir nel Signore degli Anelli. Francesco Permunian considera Il Castello di Kafka “la più alta parabola teologica” di quel “grande letterato rabbinico” praghese; ammette di aver fallito ogni tentativo di avvicinamento de L’uomo senza qualità di Musil; così Luca Ricci. Andrea Di Consoli non ha letto manco un libro fino ai quattordici anni di età; non ha ancora capito se sia stato un bene, averli poi letti (aggiungo io: averli letti “tutti”). Secondo quel bizzarro e contraddittorio figuro di Fulvio Abbate, un libro come Una vita violenta di Pier Paolo Pasolini è troppo sottovalutato: chissà cosa dovremmo dire dei racconti del povero Gallian, allora. Eraldo Affinati suggerisce invece Le mie stagioni dell’ingiustamente misconosciuto Comisso, tra i libri da recuperare. Carmine Abate è cresciuto ascoltando le rapsodie arbëreshë cantate dalle donne del vicinato: quello è il “libro” orale e collettivo che ha sentito eternare. Aurelio Picca ha sempre nutrito l’ambizione di essere scoperto da un ragazzo, su una bancarella. Giulio Mozzi giura che Dune di Frank Herbert (il ciclo completo: tutti e sei i romanzi) abbia cambiato la sua vita. E così via: da che parti siamo? Siamo dalle parti di quei libri destinati agli scaffali degli addetti ai lavori, soprattutto di Parma e dintorni; questo perché la presenza di autori o intellettuali legati a quel territorio è tutt’altro che marginale, e l’estrema ripetitività dell’operazione (il questionario è immutato, sessanta volte di fila) non aiuta una lettura “pagina per pagina” dell’opera. Il gioco è bello quando dura poco? Dipende. Un discorso è domandare certe cose a intellettuali e artisti destinati a restare per almeno altre due o tre generazioni; altro è domandarle a mestieranti o trascurabili addetti ai lavori, spesso protagonisti di risposte irrilevanti. Una diversa selezione poteva essere una miglioria decisiva. Il rischio di un’operazione del genere, dare fiato a intelligenze autoreferenziali o comunque estremamente presuntuose, spesso si presenta e lascia abbastanza infastiditi; sin troppi ammettono candidamente di leggere più libri in contemporanea (figurarsi cosa possono capire; figurarsi se devono cercarne una sintesi; etc): diversi altri si proiettano avanti nei secoli confidando nella bontà di un loro libercolo. Santa pazienza. Meno male che non vi ha dato retta praticamente nessuno, perché come lettori ci stiamo decisamente estinguendo. Chiudiamo con qualche notizia sull’autore; autore, o meglio “selezionatore”. Barilli, classe ‘59, scrittore e giornalista, dirige la rivista di racconti «Quattro». Vive tra Parma, la Liguria e Cuba: ha lavorato per trent’anni alla «Gazzetta di Parma».