
Regalando a tutto il pubblico un immaginario che è ormai divenuto struttura del profondo, Federico Fellini con la sua intera produzione, filmica e non solo, ha saputo cogliere l’essenza del Paese in divenire, in radicale trasformazione soprattutto dopo gli anni della guerra e in quelli del Boom, quando tutto sembra a portata di mano, possibile, basta volerlo. Fellini sostiene che il visionario sia il solo vero realista, e questo paradosso – del resto paradossale è anche la sua intera esistenza, affollata di incontri e ricca di onori eppure al tempo stesso condizionata perennemente dalla solitudine di un’incessante e inappagata ricerca – è una perfetta sintesi del suo cinema e di come interpreta la realtà. La sua opera, a un certo punto addirittura prepensionata, nonostante decenni di allori, dal mercato, non più intenzionato a produrla, è spesso incompresa e avversata, puntualmente equivocata: a Fellini viene attribuita una sorta di indolente indulgenza nella dimensione della nostalgia, quando in verità spesso preconizza, eccome, il futuro…
Le parole sono importanti, recita una celebre battuta (divenuta frase formulare a uso e consumo soprattutto di chi parla a vanvera) di Palombella rossa, film, non a caso, dato che trattava, tanto per cambiare, la crisi della sinistra, del 1989, diretto da Nanni Moretti, probabilmente in assoluto uno fra i registi più distanti sotto ogni punto di vista dal cineasta visionario, gaudente, lirico e onirico di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, ossia Federico Fellini: e in questo volume Oscar Iarussi, saggista, critico cinematografico e letterario, membro del Comitato esperti della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, ideatore di molte rassegne ed ex presidente della Apulia Film Commission, una delle principali d’Italia, è proprio, dedicando a ognuna un capitolo, alle più significative parole di Fellini e su Fellini che conferisce primaria rilevanza, mettendole rigorosamente in ordine alfabetico. Il lessico familiare del regista riminese, che prende le mosse da amarcord, espressione romagnola che significa “io mi ricordo” (e non c’è bisogno di evidenziare ulteriormente quanto le reminiscenze nella poetica felliniana abbiano peso), e che poi si dipana attraverso lemmi come, solo per fare qualche esempio, clown, Dolce vita, Ekberg, Flaiano, Giulietta, Hollywood, infanzia, Jung, Kezich, Marcello, paparazzo e vitelloni, sintetizza e definisce infatti, paragrafo dopo paragrafo, la sua poetica, la sua visione del mondo, la sua eredità, fornendo moltissimi spunti di approfondimento e di riflessione e curiosi aneddoti.