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Ameni inganni

Ameni inganni

Alberto ha quarantuno anni. Da trentasei aspetta con infinita ansia il momento che inevitabilmente ora sta vivendo. Il funerale di sua madre. Un pensiero fisso e paranoico che, da quando a cinque anni ha visto seppellire suo padre, lo ha perseguitato come un’ombra silenziosa e al quale ha cercato di sfuggire sviluppando due ossessioni. La collezione di astronavi e quella di riviste porno. Ora che il momento è giunto e che si trova lì, davanti alla bara di sua madre, attorniato dai soliti figuranti che presenziano il rito funebre, si rende conto che non ha in realtà – come ha sempre con terrore immaginato – pensieri di disperazione come gettarsi per terra in preda alle convulsioni o strapparsi i capelli, ma cova il solo irrefrenabile desiderio di fuggire da lì il più in fretta possibile. Ha bisogno per rassicurarsi di tornare immediatamente al montaggio del suo modellino, l’Apollo 11 lasciato in costruzione, e di passare dall’edicola di piazza Dante per comprare gli ultimi numeri di “Hustler”, “Barely legal”, “Club” e le altre sei, sette riviste porno in uscita quella settimana. Ma soprattutto, mentre getta il pugnetto di terra di rito sulla bara in mogano prima che questa scompaia per sempre sotto terra assieme a ciò che resta di sua madre, Alberto deve immediatamente tornare a casa per correre da lei...

Il primo pensiero che ti coglie leggendo il nuovo romanzo di Giuseppe Culicchia – lo scrittore torinese ‘esploso’ grazie a Tondelli negli anni ’90 con Tutti giù per terra, caso letterario da cui fu tratto anche l’omonimo film con Valerio Mastandrea – è proprio il sentimento di sollievo che ti coglie quando ritrovi un amico che credevi irrimediabilmente abbandonato. Perché con gli ultimi romanzi (soprattutto Un’estate al mare) avevo avuto la sgradevole sensazione che di una delle più belle voci narrative italiane contemporanee fosse rimasta solo l’eco nostalgica di un’ispirazione lontana e il dovere commerciale di dover comunque continuare a scrivere. E invece e per fortuna, con Ameni inganni Culicchia torna all’antico, non in quanto a tematiche – Alberto non ha certamente la leggerezza vitale della gioventù di Walter di Tutti giù per terra – ma in quanto a ispirazione, carica narrativa e capacità di emozionare ti riporta inevitabilmente indietro nel tempo. Un monologo interiore ossessivo e ripetitivo come un martello pneumatico, una goccia cinese che ti scava con disarmante ironia e normalità, pagina dopo pagina, svuotandoti, denudandoti di tutto, fino ad arrivare a immedesimarti, ad abitare il vuoto cosmico che accompagna le infinite giornate identicamente scandite dalla solitudine di Alberto. Altro che bamboccioni, qui siamo all’apoteosi dell’autodistruzione, all’esegesi di una generazione implosa e inerme, incapace di recidere il cordone ombelicale con le rassicuranti irresponsabilità infantili. Una generazione immobile che rifiuta la realtà scomoda e si rifugia in mondi paralleli psicoticamente ripetitivi e perciò tranquillizzanti. E Culicchia ha la mano dei tempi migliori per catapultarti in questo mondo, dirigendo Alberto e le sue/nostre paure verso il centro di gravità permanente dei suoi/nostri irreparabili ma tranquillizzanti ameni inganni.