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Amnesia

Amnesia

È una piacevole giornata autunnale in Australia, quando le prigioni dell’intera nazione vedono i loro sistemi di controllo subire un attacco degli hacker. Il virus si propaga in pochi secondi anche in molte carceri mondiali, dal Kurdistan agli Stati Uniti. La sorte è la stessa perché il software australiano è quello più utilizzato, perché ritenuto inespugnabile. L’Angelo del Signore annuncia i suoi propositi rivoluzionari sugli schermi degli impreparati sorveglianti. Colei che ha creato il pericolo Angel Worm è una ragazza nata nella periferia di Melbourne, una che non ha mai ottenuto un diploma di scuola superiore, una che a scuola a malapena arrivava al sei. Una traditrice che ha confessato tutto e che per i cugini americani dovrebbe essere rinchiusa dietro le sbarre per sempre e senza troppe attenuanti. In patria però c’è chi vuole darle un’altra possibilità, almeno letteraria. La sua storia la può raccontare in un libro solo un uomo, uno che non ha paura della conseguenze o di ennesime querele giudiziarie, perché tanto nella vita ha perso quasi tutto: Felix Moore. Sta a lui, mercenario raccontafavole, supportato economicamente dal suo facoltoso amico Woody Townes, riabilitare agli occhi dell’opinione pubblica nazionale quella giovane, rendendola “tutta casa e canguri”. Per uno come lui, soldi alla mano, è una sfida come tante. A rendere tutto più interessante è la presenza imprevista di Celine, madre della presunta esperta informatica, conoscenza sentimentale di Moore ai tempi della Monash University. Un diversivo affascinante che non lo allontanerà troppo dall’inaspettata verità che lo attende dietro l’angolo…

Peter Carey è un veterano del romanzo politico e della scrittura ad altro tasso adrenalinico. In Australia è una vera istituzione e questo romanzo, pur non essendo all’altezza di alcuni suoi romanzi precedenti, come Estasi e Jack Maggs, ne giustifica il grande successo e i Booker Prize vinti. Critico analista del Paese che gli ha dato i natali, usa la finzione per raccontare ciò che non funziona nella realtà di ieri e di oggi. Nelle quasi quattrocento pagine del romanzo riappaiono Nixon, incidenti diplomatici come l’affaire Whitlam – Primo Ministro australiano che gli “alleati statunitensi” volevano far fuori negli anni 70 per salvaguardare le attività segrete della base militare di Pine Gap -, e spesso l’autore si concede stoccate contro l’attuale classe dirigente. L’elemento che più si fa apprezzare, insieme al solito tono ironico che lo ha reso famoso, è la scelta di descrivere il lato oscuro e corrotto della natura umana: tutti possono essere apparentemente definiti “cattivi” e si fa quasi fatica a trovare un personaggio veramente buono. Purtroppo, nella traduzione italiana si perde tutta la sfumatura linguistica dell’edizione originale, i termini e lo slang tipico di Down Under. Uno dei personaggi ripete fastidiosamente “frate’”, ma ciò non riesce a rendere perfettamente la rilassatezza aussie, infastidisce e basta. I primi capitoli sembrano usciti dal manuale del perfetto pubblicitario (Carey ha lavorato per anni in questo ambito): fanno venire l’acquolina in bocca, alzando le aspettative, per poi in parte deluderle successivamente. Forse l’autore avrebbe potuto sfoltire un po’ il libro, che arriva a punti di stallo poco felici.