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Anarchia

anarchia

Quando il 31 dicembre 1600 molti mercanti inglesi, 218 in tutto, ricevono da Sua Maestà la patente regia per poter liberamente commerciare con le loro navi per tutto il mondo, la Gran Bretagna, ovvero l’Inghilterra, è un Paese contadino che ha trascorso la maggior parte dell’ultimo secolo stritolato da guerre interne di religione. Nel frattempo le navi spagnole, quelle portoghesi e perfino le navi olandesi tornano cariche di spezie dalle Indie e di oro e metalli preziosi dalle Americhe. Fino ad allora la Corona aveva tollerato e sostenuto la pirateria che permetteva ad alcuni di quei 218 mercanti di portare in patria tesori depredati da navi malcapitate sulle loro rotte: in particolare la Regina Elisabetta I ha in grande stima il pirata Francis Drake, ma per il resto ha giusto qualche bucaniere e una flotta davvero non all’altezza dei concorrenti. Il momento è propizio per una grande opera, affermare il controllo dell’Inghilterra su tutte le rotte commerciali, traendone il massimo profitto in termini economici e territoriali. Per questo il 24 settembre 1599 in un palazzetto di Londra quegli stessi mercanti, qualcuno in meno, ma non meno importante, si erano riuniti per chiedere l’appoggio della Corona e intraprendere un’impresa economica e commerciale che necessitava notevoli sforzi logistici e politici: mettere insieme un capitale, attrezzare una flotta e iniziare proficui commerci sui mari, in modo da accrescere il prestigio politico dell’Inghilterra, ma soprattutto sollevare l’economia della “perfida Albione”. È tempo di uscire con decisione dai confini della remota isoletta dell’Europa e tentare la fortuna altrove. Nasce la Compagnia delle Indie Orientali, un progetto collettivo che farà la fortuna della Corona inglese, sostituendosi completamente alla politica e governando in lungo ed in largo su tutto il globo terrestre, dalle coste orientali dell’America all’India, fino in Cina...

Il saggio di William Dalrymple ha l’ambizione di ricostruire con cura, attraverso un’attenta analisi documentale d’archivio, la storia della Compagnia delle Indie Orientali, ma soprattutto dei territori asiatici fra la seconda metà del diciottesimo ed il diciannovesimo secolo. In particolare, senza voler ripercorrere passo passo le vicende dei mercanti, intende (e ci riesce!) mettere sotto la lente della storia un fenomeno molto particolare di proto-capitalismo globalizzato: l’impresa della CIO ha una sede in alcune stanzette in un edificio sulla sponda del Tamigi, ma controlla grazie alla sua gestione spregiudicata tutti traffici commerciali dall’America all’India, e non solo. Con un esercito che nel 1803 contava quasi duecentomila soldati indiani, la CIO riesce a conquistare, anche in nome della Corona, tutti i territori che la crisi intestina dei moghul ha lasciato in balìa (da qui il titolo Anarchia) degli occidentali. La CIO contribuisce quindi a rafforzare economicamente e politicamente la Corona inglese di fronte ad altre nazioni occidentali, soprattutto la Francia, che pur partite qualche decennio prima non hanno sfruttato i vantaggi di un’impresa così ben organizzata e spietata: perché la CIO sostituisce la Corona stessa, nella azione politica e soprattutto in quella militare. Dalrymple si inserisce in un cuneo storico a volte sottovalutato, ma che racchiude e riassume in sé tutte le caratteristiche degli imperi economici contemporanei, soprattutto esaspera in modo paradigmatico il legame fra denaro e potere: molti dei mercanti hanno acquisito enormi ricchezze a titolo personale che hanno speso per comprare letteralmente il favore di parlamentari inglesi e garantirsi protezione politica per rafforzare i loro traffici economici. Sono l’esempio più forte della corruzione fra capitale e politica. Un libro forte, stratificato, inteso, che scandaglia i fatti ed i personaggi in modo avvincente, con una varietà di informazioni e di ricostruzioni che sono preziose sia per il metodo, sia per l’argomento spesso sottovalutato. Una lettura appassionante.

LEGGI L’INTERVISTA A WILLIAM DALRYMPLE