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Andare per i luoghi della Grande Guerra

Allo scoppio della Grande Guerra il confine tra Regno d’Italia e Austria-Ungheria doveva apparire un vero incubo dal punto operativo e logistico, ai vertici militari italiani: gli oltre 600 chilometri di frontiera andavano dalla Svizzera alla pianura di Cividale e al mare e con l’eccezione dell’ultimo tratto passavano per alcune delle più alte montagne europee e per valli anguste. “La sola idea di far muovere e combattere in quest’area un’armata moderna composta da decine di migliaia di uomini e quadrupedi, con l’accompagnamento di salmerie e artiglierie, sarebbe sembrato un’assurdità a ogni ufficiale sano di mente”. Tanto più che l’Impero austro-ungarico, poco o per nulla convinto della solidità dell’alleanza con il Regno d’Italia, risalente al 1882, aveva già da anni effettuato importanti lavori di fortificazione e militarizzazione dell’arco alpino. La “mobilitazione occulta” di oltre mezzo milione di riservisti da parte del Regno d’Italia era il segreto di Pulcinella, così Vienna da tempo si era organizzata per fronteggiare l’ormai ex alleato. Così quando il generale Luigi Cadorna – con “il miraggio di uno sfondamento strategico a est che avrebbe portato l’esercito italiano a sbucare nella piana di Lubiana per dare battaglia nel cuore dell’Impero” – indirizzò il principale sforzo offensivo tra Tolmino e il mare, nell’unico settore che permetteva un minimo spazio di manovra per le truppe, cozzò contro solide linee difensive tenute da divisioni austriache composte da “veterani agguerriti, ben addestrati e ben armati”. Nasce da qui l’atroce alternanza tra attacchi suicidi e arroccamenti su posizioni difensive (trincee, ma in versione montana) che rappresenta la Prima Guerra mondiale italiana nell’immaginario collettivo, abbastanza lontana dalla elegante “Guerra Bianca” di certa propaganda e certa storiografia, “un florilegio di posizioni scavate nelle nevi eterne, vette scintillanti, reparti in mimetica bianca impegnati in scorribande sugli sci, paesaggi maestosi e cittadelle militari fra i ghiacci”…

Le tracce delle battaglie della Grande Guerra combattute sul territorio italiano sono ben visibili anche oggi, a oltre un secolo di distanza dalla fine delle ostilità. Ci sono strade che furono costruite proprio per le operazioni militari, città che recano ancora i segni delle distruzioni subite, montagne alle quali addirittura la guerra ha cambiato il profilo. Viaggiando tra Trieste e Verona si incrociano ossari e sacrari dove riposano centinaia di migliaia di giovani soldati, quasi sempre senza nome. Il fatto che la zona di guerra fu circoscritta a una parte d’Italia limitata ha fatto sì che le grandi battaglie fossero combattute in pochi teatri ben definiti, ancora oggi molto riconoscibili. “Un viaggio nella Grande Guerra”, spiega Marco Mondini, docente del Dipartimento di Studi Storici e Politici dell’Università di Padova, Affiliated Fellow dell’Istituto Storico Italo-Germanico, consigliere scientifico dell’Istituto Storico della Resistenza e dell’Età contemporanea di Vicenza, coordinatore del gruppo di ricerca interno su Memorie e culture di guerra, e redattore della rivista «Laboratorio di Storia contemporanea», “non può ancora evitare di parlare delle cime, delle trincee, delle strade e delle città della Lombardia, del Veneto, del Trentino e del Friuli dove oltre quattro milioni di italiani chiamati alle armi vissero, combatterono o trovarono la morte, a volte anche molto tempo dopo la fine ufficiale delle ostilità”. Questo bel volumetto de Il Mulino racconta quindi le storie di guerra legate a luoghi come l’Adamello e l’Ortles, il monte Pasubio e le sue viscere piene di dinamite, il funesto Col di Lana, la “peccaminosa” Padova, Caporetto, il Piave e tanti altri. Più saggio storico che guida turistica, il libro di Mondini è lettura piacevole e appassionante.