
Andy Capp si alza, barba sfatta e aria inconcludente. “Non è che è avanzato un caffè? Quella luciona m’ha svegliato”. “See, ti credo. Questi tramonti sono micidiali”, sbuffa la moglie, Flo, mentre lava i piatti. Succede, sono i postumi della sbronza. Di certe sbronze, ecco. In ogni caso non è che Andy e signora Flo abbiano una grossissima intesa. Una volta, dal solito tizio che doveva fare non so che consulenza matrimoniale, quello fa: “Ditemi in meno di dieci parole cosa pensate del vostro matrimonio”, Andy incrocia le braccia e sbotta: “Incluse le parolacce?”. E finisce là. E comunque là a casa loro di soldi se ne vedono pochetti. D’altra parte, se a uno non viene voglia di lavorare, è dura. “Santo cielo, guarda che bollette, dobbiamo darci una regolata”, dice Flo. Andy Capp sta là in salone, sprofondato nella lettura del suo giornale. “Mah, non è che devo andare al pub tutte le sere... ma a me va. Piuttosto, potremmo ridurre i tuoi giri dal parrucchiere, no? Che dici?”. Eh. “Tieni più al calcio che a me!”, dice la signora Capp, prendendo l’uscio. “Grottesco”, sbuffa Andy, mani in tasca, mentre la vede filare in strada. “Pensa alla Serie B del campionato belga, per dire”. Un’altra volta c’è Andy che sbarella in giro per le strade di Manchester, è abbastanza tardi. Non va bene. “Avevo detto a Flo che tornavo a casa, tipo tre ore fa...”. “E niente, quando stai in una situazione del genere non puoi mica cincischiare, prendi e agisci, quindi io andrò dritto fino a casa, la guarderò negli occhi, implorerò pietà”. Basterà? Qualche giorno dopo, Andy Capp tutto romantico va in giro, un mazzo di fiori in mano. “Fiori per Flo?”, domanda un amico, “Sì. Non è il suo compleanno né niente, ti dico, volevo soltanto farle una sorpresa”. “Tre ore di ritardo, ieri notte?” “Quattro”, e tira dritto. Passa qualche giorno, magari le cose si sono aggiustate. Magari no. Andy Capp torna a casa con la sua valigetta. “Ah, allora sei tornato”, lo accoglie Flo. “Non mi vedi?”. “Come no. E hai pensato a tutto ciò che ti ho chiesto di fare?” “Tantissimo”. “Ma dai. E come?” “Tanto a fondo, un botto”. “Certo. Ti sei dimenticato quello che ti avevo chiesto di fare, vero?”. “Non dovevo solo lavare i piatti? No?”. No. Poi è passata forse qualche settimana, forse una soltanto. Tutto può essere. Andy Capp ritorna un’altra volta a casa con la sua valigetta, per farsi perdonare. “Amore mio, tienimi con te, stavolta. Sono cambiato. Ti dico, ho pensato a un sacco di cose e ho raggiunto tutta una serie di conclusioni. Ora te le racconterò tutte mentre mi disfi la borsa, dai, ti va?”. Poi niente, forse le cose si sono aggiustate, almeno per un po’. “Tutto ciò che volevo, ti dico, era un bagno, un bel bagno rilassante. Tutto qua”, dice Andy, sbarbato. Flo sta là che lava i piatti. Andy, mani in tasca. “D’altra parte, è veramente seccante quando ti ci cascano dentro birra e patatine”, si lamenta. Prende e se ne va, costernato. “Quest’uomo trasuda raffinatezza”, dice Flo, guardando verso noi lettori. Davvero...
1957. Debutta, sul «Daily Mirror» di Manchester, un nuovissimo fumetto: si chiama Andy Capp e il suo autore, Reg Smythe, è, in quel momento – nelle parole di Alessandro Bottero, prefatore di questa edizione – un quarantenne che ha superato una gavetta durissima: ex fattorino, ex fuciliere nella Seconda Guerra Mondiale, ex impiegato delle poste, Smythe era un vero figlio del popolo che campava faticosamente, arrotondando con suprema creatività il magro stipendio con vignette, schizzi e illustrazioni venduti ai quotidiani. E com’era quel suo primo, primissimo Andy Capp? Era abbastanza diverso da quello che le ultime tre generazioni hanno in mente: dimenticatevi il disoccupato pigro, fancazzista, birrafondaio, rissoso e donnaiolo (sulla carta, si capisce). Il primo Andy Capp è un omone, un omone con un nasone grosso che fa dei numeri balordi, un proletario inglese caotico e pieno di vizi. Una cosa del genere. Un anno più tardi, Andy Capp viene perfezionato, assumendo poco a poco i tratti inconfondibili che ben conosciamo, con tutta una serie di comprimari più o meno scintillanti di vitalità. Personaggi che ormai ben conosciamo tutti, da Est a Ovest. “Dal 1958 al 1998, anno in cui Smythe muore – racconta Bottero – Andy Capp conquista progressivamente il pubblico di tutto il mondo, arrivando, nel momento di massimo fulgore, ad essere pubblicato su 1.700 tra quotidiani e riviste, in oltre 50 nazioni”. E il resto è leggenda (inter)nazionalpopolare. Ma cosa è successo ad Andy Capp dopo la morte del suo creatore, Reg Smythe? Per un anno è andato avanti come niente fosse, grazie a parecchio lavoro messo da parte nel tempo, per cautela. Poi, terminate le scorte d’autore, la serie è comunque continuata: per precisa disposizione dell’artista, è passata nelle mani di Roger Mahoney e Roger Kettle, sempre sulle colonne del «Daily Mirror». Adesso, qui in Italia, scopriamo come è andata avanti la serie: la Signs Publishing ha annunciato l’intenzione di pubblicarli tutti. Nel primo volume, questo Andy torna in campo, si tratta delle strisce pubblicate dal 2007 al 2009; le vignette sono letteralmente quelle originali, col testo e con gli ingombri pensati ab origine dagli artisti; in calce a ogni singola vignetta, la traduzione in lingua italiana. Difficile resistere alla tentazione di sfogliarlo. Andy Capp è stato un fenomeno: politicamente scorrettissimo (e non mi riferisco soltanto all’alcolismo e al tabagismo; c’era anche discreta violenza, addirittura violenza domestica), il fumetto restituiva, estetizzato e satirizzato, il male di vivere di una società ferocemente industriale. Restituiva quella società industriale occidentale, anomica e abulica, giocando a esasperare quanto di buono e di buffo poteva comunque esistere in certe esistenze, altrimenti strangolate dal grigiore e dalla ripetitività, una ripetitività dal sapore della predestinazione. Il gioco, la burla, il vizio, l’amicizia, lo sberleffo, lo sbaglio voluto e preteso: diventavano e diventano tutte magnifiche forme di resistenza alla freddezza e alle regole, alla fatica, in generale. Andy Capp ti insegnava e ti insegna a prenderti gioco di tutto. “Come sta Andy?” “Sta pisto, è esausto”, dice Flo, alla vicina. “Guarda, è dovuto tornare subito a letto. Penso sia l’ultima volta che si prepara la colazione da solo. Non riesce, non riesce mica. Niente”.