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Andy Warhol nascosto

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L’arte di Warhol è certamente grande, nel suo essere cinica e superficiale, pienamente inserita in una cultura tanto scintillante quanto vacua, tanto glamour quanto distaccata da sentimenti di umana compartecipazione. E così è l’artista per come si presenta: geniale e ottuso, timido e divo dello star system. Eppure Andy Warhol era nascostamente anche altro: religioso, cattolico. Di famiglia slovacca, l’artista praticava il cattolicesimo di rito bizantino della sua chiesa e aiutava alla mensa dei poveri. Forse ritrovava, nell’essere un cattolico tra gli altri della comunità, quell’anonimato e quella tranquillità che egli negava in modo forsennato nella sua vita da artista. Questo aspetto della sua persona, Warhol lo ha sempre tenuto privato, per quanto il pensiero della morte lo spaventasse; soprattutto dopo l’esperienza del ’68, quando una frequentatrice della Factory gli sparò e quasi lo uccise. Per quanto, poi, i temi della morte o della fede traspaiano in certe opere, come la serie di serigrafie Death and disaster del ’63, o il rifacimento in chiave pop dell’Ultima cena di Leonardo, dell’87. Ma in un personaggio così di moda, omosessuale, amante della pornografia fino al voyeurismo, circondato di travestiti e tossicodipendenti, in Warhol chi avrebbe sospettato una nascosta fede tanto rigorosa?

In questo volumetto di appena ottanta pagine, Michele Dolz – professore di Storia dell’arte cristiana all’Università Pontificia della Santa Croce – si propone di indagare un aspetto poco noto di Andy Warhol: la sua fervente fede cattolica. Citando pagine dei Diaries dell’artista, stralci di interviste e testimonianze degli amici più intimi, l’autore ricostruisce una religiosità tenuta nascosta, pur se mai negata, e praticata con assiduità e disciplina; la quale dovrebbe gettare luce su di un’arte apparentemente così superficiale, tutta appiattita sul glamour e sul pop. Purtroppo il libro manca proprio di ciò che l’autore vuole ritrovare nel suo artista: una qualche profondità. Si fa fatica a comprendere in che modo la conoscenza degli aneddoti citati possa aiutare o illuminare la fruizione dell’opera di Warhol. In effetti, in questo saggio si parla meno di arte che di curiosità biografiche, per loro conto poco interessanti, e si indugia anche sulla sgradevole insinuazione stereotipica secondo cui, forse, a “configurare” Warhol come omosessuale “fin da ragazzo” possa essere stato un “problema di identificazione” (sic) dovuto all’assenza del padre e al forte attaccamento alla madre. Sgradevole, per non dire irricevibile. Insomma, la proposta critica su una nuova lettura religiosa di uno dei più grandi e influenti artisti del Novecento rimane appena abbozzata; così come fallisce il tentativo – di per sé lodevole e meritevole di sforzi – di trarre delle conoscenze notevoli o affascinanti da questo nascosto lato religioso di Warhol.