
Quando Carl Martin, giovane e promettente autore londinese, eredita una casa in un buon quartiere, crede che questa sia la definitiva svolta della propria vita. Infatti, oltre ai buoni risultati ottenuti dal suo primo romanzo, sta già iniziando a scrivere il secondo, e la possibilità di affittare l’ultimo piano a un inquilino gli consentirà di vivere immerso nella sola scrittura. Questo inquilino è Dermot McKinnon, un tipo dall’apparenza un po’ sgradevole, ma preciso nei pagamenti. Sembra insomma girare tutto per il meglio, quando Stacey, un’amica attrice e ossessionata dalla forma fisica, chiede a Carl se potrebbe gentilmente venderle le pillole di DNP, dinitrofenolo, che lui, tra le altre cose, ha ereditato. Queste infatti sono pillole difficili da trovare, ma che sembrano avere ottimi effetti dimagranti. Carl quindi accetta senza porsi problemi. Pochi giorni dopo Stacey viene ritrovata morta e i risultati dell’autopsia non lasciano dubbi: overdose di DNP. Già distrutto dal senso di colpa, Carl scopre ben presto per giunta che lo strano Dermot aveva sentito il dialogo tra lui e Stacey, e che perciò adesso ha deciso di ricattarlo: non pagherà più l’affitto, e in cambio non rivelerà alla polizia che proprio Carl ha venduto le pillole mortali all’attrice. Ha inizio così un vero incubo, dove mese dopo mese Dermot si prende libertà sempre maggiori, sino a quando Carl arriverà al limite della sopportazione…
Un libro per rendersi appassionante può avere un buono stile e una trama debole, o viceversa uno stile neutro e una bella trama (in fin dei conti, comunque, sarebbe meglio avere entrambi). Purtroppo questo romanzo pecca in entrambi i sensi, ma se dal punto di vista dello stile è perdonabile (essendo questo un semplice giallo, un lavoro commerciale senza grandi pretese autoriali che ambisce solo a catturare il lettore), dove invece delude maggiormente è proprio nella costruzione narrativa. La trama in fin dei conti ha una buona idea di partenza, ma poi collassa ben presto in una serie di situazioni che non suonano credibili. La fidanzata del protagonista, solo per fare un esempio, reagisce sempre con un’ingenuità eccessiva, e persino quando viene a conoscenza della morte dell’odioso Dermot non sospetta neanche per un istante di Carl (nonostante sia a conoscenza di tutti gli eventi pregressi). Oppure, quando nel finale lei e altri due personaggi intuiscono che Carl è il colpevole, non fanno praticamente niente: si limitano ad allontanarsi da lui o a invitarlo pacatamente a costituirsi. Nessuno insomma che pensi a chiamare la polizia (non ci sono spoiler in questa recensione, giacché chi sia l’assassino è dichiarato sin dalla quarta di copertina). A questi difetti, inoltre, si aggiungono a volte frasi che lasciano nel lettore più di una perplessità, come: “Lei riprese i sensi, per utilizzare un’espressione tipica di suo padre”. Alla debolezza narrativa del filone principale, inoltre, si aggiungono le stranezze delle sottotrame dedicate a due personaggi secondari: uno salva un autobus da un attentato, un’altra viene rapita per un paio di giorni (ma poi, al termine della “disavventura” non denuncia nessuno e fa finta di niente), ma cosa tutto ciò abbia a che fare con la vicenda principale è forse il vero mistero.