
Anne-Marie per lungo tempo è stata per tutti “Anne-Marie la beltà”. Adesso è invecchiata, non ha più quello sguardo radioso della gioventù, di quando vestiva i panni di una Clitemnestra più giovane dei suoi stessi figli. Questo perché Anne-Marie si è avvicinata molto giovane al mondo dello spettacolo, ritagliando foto di Brigitte Bardot incollate scrupolosamente sulle pareti della sua stanzetta di Saint- Sourd-en-Ger, un piccolo paesino del nord della Francia. Intanto, sogna di recitare, come quegli attori della compagnia teatrale del suo paesino, illustri sconosciuti di cui lei ancora oggi ricorda tutti i nomi, la compagnia di Prosper Ginot. Da bambina ha sempre avuto la vocazione del palcoscenico, anche se non sa definire neppure oggi cosa si può intendere per vocazione; e poi ha fatto tutta la gavetta, fino a calcare la scena a Parigi. Proprio a Parigi inizia il suo percorso dal basso, prendendosi cura di Kikine, all’anagrafe Corinna, la figlia della famosa attrice Giselle Fayolle, per gli amici Gigi. E Giselle per lei è Gigi, l’amica che la riconosce e l’abbraccia anche dopo tanti anni di distanza, l’amica con la quale ha condiviso il debutto, l’amica che ha sostenuto sempre e che continua a venerare: del resto Gigi si ricorda benissimo degli sforzi di Anne-Marie, del suo affetto, della sua lealtà. Al suo funerale, Anne-Marie racconta a chi ha chiesto di intervistarla tutti i pettegolezzi di una vita su e giù dal palcoscenico, intrecciata con la vita privata che condivide con un marito ordinario, di cui adora l’ordinarietà, ed un figlio che tende ormai a trattarla come una povera vecchia. Ma Anne-Marie è stata, è ancora e resterà per sempre “Anne-Marie la beltà”...
Yasmina Reza è una drammaturga francese di origine ebraiche, padre iraniano e madre ungherese. Il monologo di Anne-Marie la Beauté è stato messo in scena a Parigi per soli sei giorni nel marzo 2020, prima della chiusura dei teatri a causa della pandemia da Covid-19. Il testo è una riflessione sul variopinto mondo del teatro, ma non solo: la protagonista di umili origini racconta in una intervista immaginaria che si trasforma in un flusso continuo di parole e pensieri, flusso che scavalca e rende inutile ogni tipo di punteggiatura, le miserie e le virtù della vita di teatro. In particolare ne coglie la fragilità a confronto con l’eternità delle opere teatrali, dei grandi personaggi, che lei avrebbe voluto vestire, ma che non ha potuto recitare: ha avuto un ruolo da comprimaria, ma quella sua particolare posizione le ha permesso di vivere a pieno le meschinità ed i sogni di una vita da tanti invidiata, da lei vissuta. Yasmina Reza ha un’attenzione particolare per i dettagli, per le piccole incrinature nella superficie della normalità, riesce a leggere con ironia e apparente distacco quei particolari che ai più sfuggono perché sembrano completamente fuori dal contesto; per questo la sua è una scrittura densa, dal ritmo incalzante, avvolgente, ma mai asfissiante: il lettore è accompagnato, letteralmente trasportato di peso, in un mondo fatto di gesti e parole che lasciano il segno, che definiscono il rapporto fra le tante realtà fatte di aspettative e sogni infranti.