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Anni senza perdono

Anni senza perdono

In un condominio sovietico tutti aspettano la morte della vecchia Anissia per occupare il suo appartamento, considerato il migliore del palazzo; un uomo viene invitato da un anziano medico a visitare l’ospedale psichiatrico di Leningrado ‘San Giovanni dispensatore di miracoli’, dove accanto ai malati di mente vengono ricoverati anche i dissidenti politici...

Il peso che la figura di Victor Serge ha avuto nel panorama del bolscevismo può forse essere suggerito da un particolare: nel celeberrimo articolo di John Rees In defence of October, nell’arco di settanta pagine vengono citati ben otto brani tratti da scritti di Serge, mentre il ‘povero’ Lenin deve accontentarsi di quattro citazioni. Originario del Belgio, dove si iscrisse ancora adolescente alla Jeuns-Grades, una organizzazione socialista giovanile, Serge incontrò il suo destino a Parigi nel 1914. Giunto nella capitale francese per partecipare ad una manifestazione oceanica per protestare contro l’esecuzione di Francisco Ferrer, fu coinvolto nei sanguinosi scontri ad essa seguiti. Alcune armi furono trovate nella sua abitazione: due suoi compagni furono condannati alla ghigliottina e lui si prese cinque anni di prigione. Mentre marciva in gattabuia, l’Europa precipitò nella follia della Prima guerra mondiale, con la benedizione di molti partiti di sinistra, incomprensibilmente interventisti. Nel 1919 Serge è a Pietrogrado: è il suo primo incontro con le feroci contraddizioni della Rivoluzione d’Ottobre (“Sarei morto di fame senza le sordide contrattazioni del mercato nero, al quale vendemmo le cose che avevamo portato dalla Francia”, scrisse in seguito), ad esempio la scelta di stampare milioni di banconote con l’effige dello zar, virtualmente senza valore, che gettò sul lastrico tanti esiliati russi. Fa ben presto la conoscenza della Ceka, la famigerata polizia segreta bolscevica, che spia ogni conversazione telefonica e fa sparire uno dopo l’altro chiunque levi una voce stonata rispetto al coro del consenso acritico. Ciononostante Serge trova il coraggio di denunciare la burocratizzazione del Partito Comunista, invaso da carrieristi senza scrupoli. La persecuzione da parte del regime sovietico degli anarchici e il massacro di Kronstadt scuotono nel profondo Serge, che capisce (e scrive) che la Rivoluzione è finita, e la speranza è morta. Con la morte di Lenin e l’avvento al potere del cupo Stalin, non c’è più nemmeno uno spazio marginale per un uomo così scomodo, e davanti a Serge si aprono ancora una volta le porte della prigione, dalla quale esce nel 1936 grazie ad una petizione firmata da tanti grandi intellettuali europei. Poi la fuga, l’esilio, la morte. Opere forse minori, ma non per questo meno emozionanti, i due racconti dell’autore di Memorie di un rivoluzionario che Tranchida dà alle stampe a cura di Laura Chiappella sono “in modo diverso” pregni degli stessi umori. La denuncia della follia del regime autoritario bolscevico arriva a bersaglio con le frecce di una satira sociale grottesca ed amara, da teatro dell’assurdo. Lo stile di Serge è qui contorto, tormentato, scoppiettante: l’autore sembra ansioso di gridare ai quattro venti la sua indignazione, e al tempo stesso pare divertito dalla sua stessa irruenza. In questo gioco del gatto con il topo rivive lo spirito libero di un vero rivoluzionario e l’ironia di un osservatore implacabile dei vizi di una società nata per liberare gli uomini e costruita viceversa sull’oppressione.