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Arcobaligia

Arcobaligia

Il tempo ad Arcobaligia è sempre lo stesso: piove ininterrottamente da tantissimi anni e i colori sono stati lavati via dalle vite dei suoi abitanti. Lo sa benissimo Arturo, che ogni tanto ama guardare dalla finestra in attesa di un’agognata novità. Ma oltre ad un vasto numero di ombrelli o rigagnoli d’acqua che, passando dai marciapiedi, finiscono nelle fogne, è difficile scorgere qualcosa di diverso. Se non ci fosse mai stata, otto anni fa, quella brutta maledizione. Si bisbiglia che la causa di tutto sia stato l’odio che provava Ombrellintesta per la felicità degli altri abitanti. Dal suo cannocchiale posto sulla cima di Castelcatinello osservava quell’ammasso fastidioso di sorrisi, biciclette, bambini festanti e colori sgargianti e la cosa, secondo lui, doveva avere una fine. Il suo ombrello, gonfio di un diluvio senza fine, si trasforma in uno schermo enorme che sovrasta la cittadina, lasciandola al buio e ai toni del grigio. Tutte le pitture, le macchie colorate e persino le tempere scolastiche sono finite nelle pance insaziabili dei Tempestiferi, orridi esserini bassi e informi capaci di trangugiare con le loro enormi bocche tutto ciò che possa dare allegria. Il temporale è ormai entrato nelle ossa di tutti, inzacchera e inzuppa, porta pantano e melma, come recita la filastrocca con cui i Tempestiferi acciuffano i possibili sovversivi. Non ci sono speranze: l’arcobaleno non arriverà mai. Un giorno, però, Arturo scende nell’angusta cantina del suo palazzo per prendere una bottiglia di vino per la nonna. Tra le cianfrusaglie e le foto di famiglia ingrigite dal tempo, in una valigia di pelle, trova un tesoro meraviglioso: le matite magiche colorate della nonna...

Una favola su un mondo che si chiude sotto una cappa pesante in cui è difficile vivere. In questo periodo incerto in cui viviamo, sembra quasi pensato per raccontare l’Arcobaligia in cui siamo costretti a fare i conti, abituati a guardare fuori dalle nostre finestre, all’interno delle quattro mura che ci danno sicurezza. Le illustrazioni di Marco Cerminara sono delicatamente cupe, soprattutto nella parte iniziale, proprio per rendere evidente il mondo uggioso di Arturo, di sua nonna e degli altri abitanti. Le prime pagine sono così “piovose” che sembra quasi di percepire l’umidità in cui da otto anni vive la mesta cittadina. Le filastrocche sono simpatiche, spesso si è preferito cedere all’assonanza, piuttosto che ad una rima vera e propria. La storia di un mondo in cui la fa da padrona l’ombra e il buio, in cui non si può godere di colori e in cui tutti sono tristi in casa impauriti è ben raccontata ma complessivamente si ha la sensazione di averla già sentita da qualche parte. Saltano alla mente le immagini dei film di Tim Burton (come non pensare, ad esempio, quando si parla di Castelcatinelli, alla lugubre casa sulla collina da cui Edward Manidiforbice sbircia con il suo cannocchiale gli altri esistere – anche se in quel caso più che essere l’artefice di una maledizione, ne è il triste destinatario).