
Ci sono due bellissime ragazze che si prostituiscono in una delle case chiuse più frequentate di Milano, in una strada centrale molto nota e in un quartiere di grande fermento. La casa in questione è “retta” con astuzia e mano ferma da una ex del mestiere che ora si limita a intrattenere gli ospiti nel suo salotto, mentre le ragazze si liberano dai clienti precedenti, compito che svolge come se fosse una semplice borghese della città meneghina che riceve conoscenti e parenti. In realtà tra un rosolio e un biscottino la maîtresse cerca, lei per prima, di carpire quanto più possibile su quegli uomini, di adularli al fine di far credere loro che le sue giovani ospiti sono lusingate dalle loro attenzioni, e di vantarsi di quanto la sua casa offra solo il meglio della piazza di Milano per quello specifico “prodotto”. La verità è che la maggior parte dei suoi clienti e quindi dei suoi introiti poggia quasi esclusivamente su Lina, detta Wilma, una ragazza di una bellezza statuaria, e sulla sua migliore amica, anche lei bella da far girare la testa e anche lei nella “scuderia” della casa chiusa della furbissima maîtresse. Le due ragazze vanno molto d’accordo. Tutti lo sanno. Lo sanno le altre ragazze della casa e lo sanno perfino i clienti. Ed è per questo che quando Lina, la stupenda e meravigliosa Lina viene rinvenuta morta nella casa dello zio, nella zona del Naviglio Martesana, con una profonda ferita alla testa, Mario Arrigoni, il commissario di Porta Venezia che prende in mano il caso e cerca di risolverlo, si fa aiutare proprio dalla migliore amica della vittima che sembra sapere della sfortuna ragazza molte più cose di quanto sembrano sapere gli altri. Altri che vanno dai familiari di Lina che vivono in campagna allo zio operaio a Milano, dalla signora che dirige la casa chiusa al fidanzato o pseudo tale della bellissima Lina. Arrigoni interroga tutti, indaga nella vita privata, familiare e lavorativa della ragazza, ritorna più volte a fare sopralluoghi nella casa chiusa, attirandosi le battute dei colleghi e anche quelle neanche tanto velate della moglie, ma niente. Proprio nulla. Sembrano tutti sospettabili e nessuno veramente colpevole. E allora chi voleva fare del mare alla giovane ragazza di vita? Un ammiratore geloso, un familiare risentito, un cliente rifiutato, qualcuno che voleva derubarla e basta? Chi?
Secondo romanzo della serie dedicata al commissario Arrigoni, il personaggio creato da Dario Crapanzano e protagonista di tante avventure nella Milano degli anni ’50. E proprio nel 1952 è ambientato anche Arrigoni e la bella del Chiaravalle, un giallo classico all’italiana. Semplice, affascinante, con un finale azzeccatissimo e ancora una volta con una ambientazione che è un vero e proprio viaggio nella città meneghina di decenni fa. Un viaggio fisico tra strade che esistono ancora e palazzi ottocenteschi reali, e insieme un viaggio emotivo in una Italia così ancora segnata dal conflitto mondiale e dove la felicità realmente poggiava su cose semplici. Certo, c’è una sorta di avidità strisciante che percorre tutto il romanzo come quella della padrona della casa chiusa, della famiglia della stessa Lina, che la ragazza continuava in qualche modo a sostenere economicamente anche a distanza, degli stessi uomini che gravitano intorno alle ragazze del “casino”, ma alla fine molti dei personaggi di questo romanzo si accontentano di un bicchiere di vino e di un panino nelle osterie con quattro tavoli, di ascoltare per qualche ora la radio dopo avere cenato, di pranzi domenicali in famiglia per festeggiare eventi importanti. In quasi tutti i libri di Crapanzano c’è questa invisibile linea Maginot che separa l’immensa voglia degli italiani di accogliere il futuro dopo la terribile guerra e un certo desiderio di rimanere ancorati a quel piccolo mondo antico dove si basano la maggior parte delle loro certezze. Dario Crapanzano di questo genere, di questo modo di raccontare, di questo mondo è stato un grande maestro e leggere i suoi romanzi è sempre una cosa che allarga il cuore.