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Artico nero

Agosto 2016. Dopo settantacinque anni di letargo, l’antrace torna a uccidere in Siberia. Pare che il letale batterio si sia “risvegliato” per effetto del surriscaldamento globale. Una renna morta di antrace sepolta nel permafrost è tornata alla luce, contaminando il terreno e probabilmente l’acqua. Ricoveri, analisi, decessi di bambini, uno sterminio di renne per arginare l’epidemia, vaccini di massa, un giornale che parla di “antrace zombie”, il fiorire di inquietanti leggende metropolitane. Dal nero terreno gelato dell’estremo nord stanno via via affiorando entità sepolte da millenni: per esempio il Mollivirus sibericum, che dopo 30.000 anni è tornato a fare strage di amebe. Sarà pure una fantasiosa teoria del complotto, ma c’è chi sostiene che gli eserciti stiano setacciando il permafrost in scongelamento alla ricerca di agenti patogeni spaventosi da usare come armi biologiche. Ma non è questo, non è solo questo. C’è altro che gonfia “il nostro immaginario come il metano dell’Artico”: quelle terre “mettono in crisi le nostre dicotomie più trite, sono zone di risonanza tra Occidente e Oriente. Non sono spettacoli esotici, sono spettri-spettatori da cui forse veniamo osservati”…

Il modenese Matteo Meschiari, docente di Antropologia e Geografia all’Università di Palermo e fondatore nel 1997 dello Studio Italiano di Geopoetica, parte dalla massima solo apparentemente paradossale di Javier Cercas “Non appena iniziamo a raccontare stiamo già alterando la realtà, stiamo già inventando” per tentare una mappatura dell’estremo nord del mondo (Canada, Scandinavia, Siberia, Groenlandia, Alaska) e della sua agonia. La sintetica ma brutale cronaca del lento genocidio etnico dei popoli dei ghiacci – dai Sami agli Inuit, dagli Ahiarmiut ai Ciukci, dagli Jakuti ai Nenet e agli Yupik – è solo l’inizio, forse un pretesto. C’è anche il discorso dell’emergenza ambientale e dell’apocalittico scioglimento dei ghiacci (con tutte le fobie annesse e connesse, c’è il tema sociale – lassù si riscontra il più elevato tasso di suicidi di minori del mondo –, ci sono i film, i libri, le serie tv, insomma c’è tutto quello che ha contribuito nell’immaginario collettivo a trasformare le distese di ghiaccio dell’Artide in un luogo oscuro, marcescente, letale. Lo strumento narrativo utilizzato è definito in IV di copertina “antropofiction”: aneddotica, immaginazione, scienza, storia, politica e persino poesia si alternano senza soluzione di continuità, dandosi il cambio nel guidarci nel buio dell’inverno artico o nell’ancor più pericolosa e straniante – come scopriremo leggendo – luce infinita dell’estate artica. Emozioni, riflessioni, allusioni, angosce. L’unico difetto di questo libriccino dal fascino un po’ maledetto è che ti fa rimpiangere quello che avrebbe potuto essere: se infatti intorno a questo materiale Meschiari avesse costruito un grande romanzo d’avventura artica saremmo stati di fronte a un probabile capolavoro.