Salta al contenuto principale

Askja

Askja

Kornelíus avanza fino al crepaccio e abbraccia con lo sguardo il profondo taglio che percorre la lava nera. Poi solleva gli occhi su quella terra immensa e scura, in cui la lava pietrificata da migliaia di anni sembra un mare immobile di onde nere e corrugate come la pelle di uno sharpei. Kornelíus guarda una volta ancora il monitor che il giovane accanto a lui gli porge. Sullo schermo è chiaramente visibile il corpo nudo di una donna coricata sul muschio, con la faccia a terra e un ginocchio rialzato, mentre il viso è nascosto nell’angolo del braccio destro. L’altro braccio, steso lungo il corpo con il palmo della mano verso il cielo, è forse il segno più evidente che la donna sia morta. A dir la verità non è completamente nuda: le rimane un calzino bianco a un piede. L’ispettore ha già chiesto mille volte al ragazzo se è davvero sicuro che la donna fosse nel punto esatto in cui si trovano ora. E il ragazzo non ha dubbi, anche perché l’immagine fissa nello schermo – registrata da un drone – è esattamente identica alla landa che si trova davanti ai due. E allora dove diavolo è finita quella donna? Come può essere sparita, senza lasciare alcuna traccia? Intanto, in un altro punto dell’isola, Botty, collega di Kornelíus, si trova di fronte al paesaggio eroso delle Montagne Blu. Dalla cima del cono vulcanico, sovrasta il campo di pietre e licheni che la donna ha dovuto percorrere a piedi per oltre tre chilometri, prima di raggiungere il cratere. In lontananza, dietro una cima piuttosto brulla, si scorge il rifugio che fa da campo base per eventuali escursionisti. Ma per oggi nessun escursionista potrà avvicinarsi a quel punto e nessuno potrà avvicinarsi a quel buco finché Botty non avrà concluso i suoi controlli. Sono state trovate un paio di mutandine e del sangue sopra una pietra lì accanto, ma non c’è traccia di alcun corpo nelle vicinanze…

Due diverse scene del crimine, qualche indizio ma nessuna vittima. Questo è il quadro iniziale del secondo romanzo della trilogia che Ian Manook – scrittore e giornalista francese di origine armena, il cui vero nome è Patrick Moanoukian, già noto al pubblico per la precedente trilogia Yeruldegger ambientata in Mongolia – colloca in quella terra magica e aspra, fatta di geyser e vulcani, che è l’Islanda e che fa seguito al successo di Heimaey, primo capitolo della serie. Ancora una volta il protagonista è l’ispettore Kornelíus – profonde passioni, carattere schivo e modi discutibili, ma grande determinazione e spinta ad arrivare alla verità, sempre e comunque – che deve risolvere il caso di un possibile delitto, consumato alle pendici del monte Askja, vulcano che l’ispettore ama particolarmente, avendo a disposizione unicamente la testimonianza di un appassionato naturista e quella di un anziano affetto dal morbo di Alzheimer. Anche Botty, collega di Kornelíus e sua vecchia fiamma, indaga, vicino alla capitale dell’isola, sulla scena di un probabile delitto ma, di nuovo, mancano testimoni, denunce e cadavere. Due trame che si snodano parallelamente, si intrecciano alla vita dei protagonisti e richiamano alla mente dell’ispettore un vecchio caso, che diventa occasione per rimestare nel passato estremamente doloroso di Kornelíus e raccontare i risvolti più nascosti di un uomo che, oltre ad essere piuttosto arrogante e particolarmente arrendevole di fronte alle tentazioni, mostra anche il suo animo sensibile e la sua mente brillante. Sullo sfondo di un paesaggio maestoso e perfido, in cui il fuoco del vulcano si alterna al ghiaccio delle nevi sotto una volta celeste che pare senza confini, Manook racconta, tra le righe del thriller, le difficoltà del protagonista – la cui vita privata è sempre più complicata, mentre quella professionale sta ancora pagando lo scotto delle vicende che lo hanno coinvolto nel primo romanzo della serie – e il suo legame profondo con la natura selvaggia che deve essere assolutamente difesa dagli interessi meramente economici di chi, in nome del progresso, abbraccia un’idea di turismo assolutamente deleteria. Una storia avvincente e dal ritmo incalzante – nel quale sempre maggiori sono le somiglianze tra Kornelíus e Yeruldegger – della quale si attende con curiosità crescente il terzo capitolo.