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Atlante americano

Atlante americano
Anni '30. Un intellettuale italiano, nauseato dal l'Italia fascista, si imbarca per New York. Lo coglie l'emozione profonda e antica dei navigatori quando abbandonano il chiuso del Mediterraneo per addentrarsi in oceano aperto, poi c'è la noia della traversata, fino all'apparire della Statua della Libertà, che sembra respingere più che accogliere. E poi lo skyline di Manhattan, nel quale spicca il nuovissimo Empire State Building, e poi un lunghissimo viaggio in treno, fino al sole della California e all'incontro con gli emigranti italiani e alla vita di provincia negli States della Grande Depressione...
Giuseppe Antonio Borgese è figura affascinante e poco conosciuta, peccato. Docente universitario di chiara fama, aveva scelto di trasferirsi negli Stati Uniti nel 1931 per sfuggire alla soffocante ottusità del regime fascista, sposando la figlia di Thomas Mann, Elisabeth, e spedendo dagli Usa negli anni una serie di corrispondenze al Corriere della Sera successivamente confluite in un volume, proprio questo Atlante americano che finalmente viene ristampato dopo quasi 80 anni. L'America dei corrispondenti del Ventennio – si sa – era spesso una plutocrazia sull'orlo del baratro che si beava di proclami di uguaglianza e multiculturalità regolarmente dileggiati dai cantori di regime. La voce di Borgese – seppure non immune da anacronismi e da pregiudizi, come è ovvio – è invece equilibrata, fresca, non appesantita da zavorre ideologiche né obblighi di partito. Non ci sono tesi da dimostrare, ma paesaggi (anche urbani) da descrivere, non ci sono sistemi sociali da demolire, ma tessuti di umanità da scoprire, non ci sono caricature, ma ipotesi e dubbi, tanti dubbi nelle pagine di questo elegante libretto che ci consente di gettare uno sguardo a un'America nel pieno della Grande Depressione, con le sue contraddizioni, la sua vitalità e la sua povertà. Non è Steinbeck, intendiamoci: ma non mancano le profezie: ora azzeccate (“...l'Europa corrente cieca verso la guerra”) ora 'toppate' in pieno (“...questa è ormai, qual è, la sagoma di Nuova York, destinata a restare”).