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Atlante delle crisi mondiali

Atlante delle crisi mondiali

Partendo dalla fine della Guerra Fredda, che l’autore definisce un periodo stabile e equilibrato grazie anche al deterrente delle armi nucleari, sottolineando inoltre l’importanza delle ideologie (di tutto il ‘900) che riuscivano ad aggregare sotto i loro “ismi” un grande numero di persone, che in esse si riconoscevano (comunismo, socialismo, nazionalismo, imperialismo, colonialismo, fascismo), entriamo nel mondo delle grandi trasformazioni geopolitiche ed economiche. Eclatante fu il risultato della politica di Gorbaĉëv, che pose fine all’URSS e a quell’ideologia che, seppur antidemocratica, aveva garantito la stabilità politica del paese dopo la caduta degli zar. A cascata ne seguì la sparizione del comunismo da altri Stati (Polonia, Bulgaria, Romania per dirne alcuni), disposti ora ad essere assorbiti dal Patto Atlantico. Avvenimento sconvolgente che provocò molte vittime fu la guerra fratricida nella ex Jugoslavia, scoppiata dopo la vittoria nella Bosnia-Erzegovina del Partito musulmano di azione democratica di Izetbegović che venne reputata intollerabile da Serbia e Croazia, Stati fondamentalmente cattolici. Che dire del martoriato Medio oriente? Romano ci guida attraverso la storia, partendo dalla spartizione dell’impero ottomano tra le maggiori potenze vincitrici della Prima guerra mondiale, Gran Bretagna e Francia. La situazione restò sufficientemente calma fino alla Seconda guerra mondiale “quando iniziò il declino delle grandi potenze e nacquero i nuovi nazionalismi nell’Africa del Nord e nel Levante”. Gli Stati ormai non più satelliti di Parigi e di Londra cercarono di modernizzarsi utilizzando gli stessi metodi delle loro “case madri” ma la corruzione della classe dirigente e le sconfitte subite nel tentativo di distruggere Israele (che nel frattempo l’ONU aveva fatto nascere) ne decretarono il fallimento. Questo e la mancata soddisfazione dei bisogni della popolazione aprirono la porta all’influenza della Fratellanza Musulmana e degli Imam e l’inadeguatezza dei manuali di politica sul modello europeo accrebbero la “popolarità” del Corano come panacea per tutti i mali. E il conflitto arabo-israeliano? La Baia dei porci? La prima Guerra del golfo?...

Sergio Romano è storico, scrittore, giornalista ed ex ambasciatore alla NATO e nella ex Unione Sovietica. È stato editorialista del quotidiano “La Stampa”, dal 1999 lo è del “Corriere della sera”, scrive per il settimanale “Panorama” ed è nel Comitato scientifico del mensile di geopolitica “Limes”. Questo suo ultimo libro, che segue Trump e la fine dell’American Dream (Longanesi), è un riassunto puntuale e dettagliato dei conflitti che hanno acceso la scena mondiale dalla fine della Guerra Fredda in poi, con scivolate necessarie e precise nel passato, in cui quasi ogni crisi ha le proprie radici (nessuno impara mai dalla Storia). Col suo stile elegante e caustico, molto fluido e accessibile, ci accompagna anche tra i risvolti meno conosciuti, quelli che sono, in realtà, la vera politica, fatta di sotterfugi, di macchinazioni, di alleanze più o meno pulite. Noi che abbiamo sempre considerato Saddam Hussein come il cattivo, il dittatore sanguinario, avremmo mai immaginato che gli Stati Uniti, oltre a vendergli le armi con cui i propri soldati sono stati uccisi, avevano stretto un accordo per ringraziarlo della guerra contro gli ayatollah iraniani, promettendogli il Kuwait? E lui, esagerando nella forma, ha costretto l’America a intraprendere la Prima guerra del golfo. Quanto si sa della dietrologia di una crisi mondiale? O anche solo locale? Di quanti piccoli e lontani Paesi sappiamo l’esistenza se non quando i loro conflitti coinvolgono Stati “rilevanti” o producono stragi che il mondo è costretto a sapere? Cecenia, Ossezia, Kosovo e ancora prima il Ruanda. La spiegazione di Romano è semplice ma dilaniante: “nella storia, come anche nella società, esistono caste superiori e caste inferiori. Alle prime appartengono gli Stati “nobili” di cui conosciamo le vicende politiche, le alleanze, i leader. Alla casta degli inferiori invece, tribù, clan, gruppi etnici e Stati abortiti di cui non conosciamo quasi nulla. Allo snobismo storiografico dell’Occidente, le vicende di questi popoli, quando il mondo si imbatte nelle loro guerre e rivoluzioni, appaiono come una mediocre caricatura della storia “aristocratica”. Per questo è necessario leggere, informarsi, sapere. Il mondo è uno. “Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo. È la qualità più bella di un buon rivoluzionario” , diceva Che Guevara. Io direi “è la qualità più bella di un buon essere umano”.