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Baba

baba

Addossata alla parete verde dell’ospedale, Baba sente ogni singola goccia di sudore scenderle lungo la schiena. Ha accettato il consiglio dell’infermiera e si è andata a dare “una sistemata” nel bagno riservato agli accompagnatori, ma i risultati sono pessimi. Il trucco sciolto, la parrucca di traverso, il vestito inzuppato di sudore… a quel disastro non si può porre rimedio. E poi la gente guarderebbe comunque, anche senza la disperazione che le si legge in viso. Ormai è abituata agli sguardi, a tutti i tipi di sguardi: da quelli di compassione a quelli nei quali il desiderio si mescola alla cattiveria, sino a quelli di disgusto. Di quest’ultima tipologia, suo padre è il re. È per lui che ora si ritrova in ospedale, insieme a zia Mimì e sua madre, Alina. Mentre era al cantiere, gli è esploso qualcosa troppo vicino alla testa: i medici hanno detto che ormai l’udito è andato, stanno cercando di salvare la testa. Ironico che un uomo che non ha mai ascoltato nessuno abbia perso l’udito, pensa Baba mentre cerca di immaginarsi il loro incontro. Cerca di concentrarsi su qualcosa di bello – Michele, le stoffe di zia Mimì, i suoi vestiti appariscenti – per rallentare il cuore impazzito che le martella nel petto, ma non riesce a tenere lontana la mente dalla notte del suo diciottesimo compleanno. È da allora che Baba non vede suo padre, da quando l’ha sbattuta fuori di casa urlandole che per lui suo figlio era morto. Anni di silenzio, di incontri con sua madre tenuti nascosti e di lutto portato da entrambi. Quello sguardo, difficile da descrivere e impossibile da dimenticare, è l’ultimo ricordo che ha di quell’uomo che ora aspetta in uno squallido corridoio. Quando, scendendo dalla soffitta di zia Mimì, ha smesso per sempre di essere Mario - quel figlio tanto desiderato eppure così diverso agli occhi di suo padre - per essere lei Baba, avvolta in un vestito e con i tacchi alti finalmente pronta a mostrare il suo vero io…

È un romanzo che affronta con delicatezza, ma anche con estremo realismo, il tema della transizione, del coraggio di riconoscersi e accettarsi per quello che si è, sfidando anche i pregiudizi. Baba - al secolo Mario - è una ragazza prima, una donna poi, che fin da subito conosce e riconosce sé stessa. Non in quel corpo da uomo datole alla nascita ma nella sua essenza femminile; una consapevolezza acquisita in maniera del tutto naturale e per la quale non scende a compromessi, non mente a sé stessa né agli altri. Consapevole anche di quello che potrà comportare una scelta di questa portata, Baba non rinuncia a sé stessa né alla ricerca della sua, di felicità. Tra tulle, stoffe preziose e il rumore della macchina da cucire, si snoda questo romanzo in cui protagoniste sono soprattutto le donne; personaggi complicati eppure a loro modo semplici, che con le loro esperienze snocciolano e prendono in esame la complessità che qualsiasi rapporto d’amore porta con sé. “Sei così sensibile che qualsiasi cosa ti ferisce, ti infrange. E sei così impegnata a sentire il tuo dolore che non senti mai quello degli altri e te ne freghi. Io sono come te e ti capisco e me ne frego. Ma quelli che ami li devi ascoltare, Baba”, dirà a un certo punto una delle protagoniste, condensando il nucleo della narrazione: quello di saper ascoltare, soprattutto gli altri. In una Trieste contraddistinta dalla salsedine, dall’odore del mare e dall’ululato della bora, Laura Basso tratteggia una storia in grado di condensare il dolore, il coraggio, la forza di accettarsi e di perdonarsi fino all’epilogo che ci lascia con un velo di malinconia e profonda tenerezza, ma anche custodi di una profonda verità: “L’amore fa questo. Mantiene”.