
Biondo, occhi azzurri come Liam Hemsworth, fossette sulle guance: Patrick è un vero fico, il più fico di tutta la scuola, e tra poco Whitney DeVries lo potrà incontrare dopo due mesi spesi a chattare insieme su Facebook. Si sono incontrati solo due volte, al minimarket di Blackston dove lui lavorava e Whitney era andata con sua nonna. In chat si sono raccontati molte cose: Patrick ha la passione del football, Whitney del calcio, per il quale ha mollato la danza suscitando l’ira dei suoi. Entrambi hanno fratelli rompiscatole e genitori severi. Il padre di Whitney l’avrebbe di sicuro ammazzata se l’avesse scoperta! In quanto a metodi educativi Brian DeVries è rimasto al paleolitico. Fa freddo, è notte, e l’appuntamento è fissato al parco di Saxon Falls, al monumento alla Seconda Guerra mondiale dietro la fontana; Whitney si spazzola i capelli, attenta ad ogni minimo rumore dentro casa. I suoi genitori già dormono, ma suo fratello Ryan potrebbe svegliarsi: gli capita spesso di avere degli incubi verso le dieci. La ragazza indossa il caban fucsia appoggiato allo schienale della sedia, mette il cellulare in tasca e si prepara a scavalcare la finestra: toglie la zanzariera, la appoggia alla parete e, prima una gamba poi l’altra, sgattaiola fuori. Ha deciso di andare a piedi: la bicicletta è in garage e il garage è vicino alla camera dei suoi, rischia di fare troppo chiasso. Rabbrividisce: il vento è davvero freddo, pungente. Ma lei avvampa comunque al pensiero di Patrick: la bacerà? O farà il timido? Una volta al parco Whitney apre l’applicazione torcia sul cellulare: il parco le sembra inquietante adesso, ma è anche vero che è la prima volta che ci si trova di notte. Ecco Patrick. Cioè, ecco il suo motorino parcheggiato di fianco al monumento. Ma è una sagoma scura fra gli alberi ad attirare lo sguardo della ragazza: ci mette qualche secondo a capire. Un veicolo di grosse dimensioni, un furgone. Si ferma di colpo, mentre una figura tutta nera sbuca da dietro la statua e si materializza davanti a lei; Whitney comincia a correre, ma è tutto inutile: quella nera figura la raggiunge, la immobilizza, la solleva di peso. E la porta via. Saxon Falls e le contee limitrofe piombano nel panico: il Killer delle dieci miglia potrebbe essere ricomparso riacutizzando ferite mai rimarginate nella famiglia Willard, che diversi anni prima ha dovuto fare i conti con la sparizione della giovane Kelsey, tuttora misteriosa. Le modalità del rapimento della giovane DeVries fanno pensare che sia opera dello stesso uomo. Dove si trova Whitney? E se ritrovando lei si potesse finalmente mettere un punto anche sulla vicenda di Kelsey Willard?
Potremmo definire Kylie Brant come una veterana del genere thriller: l’autrice americana, nativa del Midwest e residente in Iowa, ha già pubblicato infatti più di quaranta libri in trentaquattro paesi, tradotti in ben diciotto lingue; ha vinto anche numerosi premi, tra cui il “Daphne du Maurier Award” per l’eccellenza nel mistero e nella suspence. Ed è proprio la maestria della Brant nel tenere alta la tensione a colpire, leggendo il suo Balla per me (primo suo libro tradotto nel nostro Paese), libro che non brilla per originalità della trama, ma che riesce a intrigare grazie ad una profonda caratterizzazione dei suoi personaggi, molti dei quali possono vantare un proprio punto di vista all’interno della storia. Persone estremamente umane, fragili, piene di debolezze e sensi di colpa: padri protettivi ma imperfetti come David Willard; tutori dell’ordine dai molti scheletri nell’armadio come Brian DeVries; madri dall’anima lacerata che ostentano normalità come Claire Willard. Molti di loro potrebbero sembrare colpevoli (e forse, a modo loro lo sono) ma il colpevole, quello vero, è praticamente impossibile da immaginare: bisogna attendere le ultime pagine, quando l’agente Mark Foster, incaricato delle indagini sulla sparizione di Whitney e, a suo tempo, anche di quelle di Kelsey, riuscirà a sbrogliare finalmente il bandolo di un’intricata matassa, che vede mescolarsi praticamente due casi insieme. Dalla vicenda viene fuori una plausibile ed accurata analisi sulle dinamiche familiari, su come la tragedia può agire sconvolgendone gli equilibri; sotto i riflettori sono soprattutto i coniugi Willard: il comportamento ambiguo di lui, la depressione di lei, il loro rapporto stanco e precario mentre ancora dopo anni vivono il calvario del silenzio, ignari di ciò che può essere accaduto alla loro figlia. Anche quello di Janie Willard, affetta da attacchi di panico acutizzati dalla perdita della sorella Kelsey, è un punto di vista prezioso, come prezioso si rivelerà il suo aiuto nelle indagini. Dobbiamo aspettarci un lieto fine? Forse, almeno in parte. Attraverso il punto di vista di Whitney vediamo come la ragazza lotti con tutte le sue forze per non arrendersi alla crudeltà del suo aguzzino. Ma, ammettendo anche un esito positivo, chi vive sulla propria pelle un’esperienza del genere, vittima e famiglia insieme, potrà mai in futuro riacquistare una parvenza di normalità?