
Bob Dylan è un universo di parole in musica. Un universo che ha il suo personale Big Bang negli anni Sessanta e che ancora prosegue nella sua espansione, a volte con sonorità più udibili, altre volte lavorando in sordina. E, come un universo, il suo linguaggio è complesso e formato da più livelli interpretativi. Ciò che è chiaro è che l’appellativo di “menestrello” non basta a definirlo ed è assolutamente riduttivo per un artista dalla personalità sfuggente e complessa. I suoi testi sovrascrivono gli accadimenti del mondo e lo fanno con storie musicali interpretate da personaggi altrettanto complicati, precorrendo i tempi. E un universo altrettanto grande è rappresentato da quanti hanno deciso di studiare e interpretare i testi dylaniani. Non è un mistero, ad esempio, che Steve Jobs e il suo collega Wozniak trascorsero molte ore nel tentativo di decifrarli. Volendo seguire questo sottile filo conduttore, sarà possibile anche fare sinistri accostamenti tra le date di uscita di molti dei suoi album ed alcuni eventi tragici o significativi per la società e la politica americane e non solo: l’assassinio di Kennedy corrisponde all’uscita di The Times They Are A-Changing’, nell’anno della guerra del Libano esce Neighbourhood Bully, mentre nel settembre 2001, in concomitanza con i ben noti eventi newyorchesi, esce Love & Theft. Ma naturalmente non è tutto qui. Dylan è di certo un personaggio poliedrico, affascinante e per certi aspetti misterioso, che con i versi ha raccontato e sta raccontando il nostro mondo, le sue evoluzioni e soprattutto l’uomo che lo abita…
Dylan menestrello, Dylan cantante folk, Dylan cantante rock, Dylan scrittore, poeta, pittore, attore e che altro ancora? Molto, naturalmente e che tuttavia non basterà a definirlo nella sua interezza. Nel piccolo saggio di Marco Zoppas si affrontano i testi dylaniani cercandone la luce mistica; le parole vengono eviscerate per trarne i significati nascosti che ben più che alla sola canzone alludono. Ciascun capitolo è formato da due blocchi distinti, sia per stile che per carattere di stampa. Il primo, scritto in corpo minore, ha il tono del racconto con spunti fantastici e libere interpretazioni, mentre la seconda parte, con un carattere più regolare, prende la forma del saggio. Ciò che sembra venire alla luce è che le canzoni di Dylan, popolate da una moltitudine di personaggi eterogenei, vadano ascoltate e interpretate secondo tre livelli di profondità. Il primo conterrebbe riferimenti autobiografici, passando poi a raccontare, tra le righe, il rapporto dell’uomo con la propria immagine pubblica e di icona del rock, mentre il terzo e più profondo livello scandaglierebbe il rapporto che il cantante ha con se stesso. Di certo è che i veri poeti hanno un talento dalla loro, che è quello di uscire dal fiume del tempo e di cambiare quindi non solo prospettiva ma anche aumentare il proprio orizzonte visivo, a volte riuscendo ad anticipare il futuro. Anche non essendo “dylanologi”, è vero quindi che nelle canzoni di Bob Dylan si possono scorgere scorci di presente e idee sul futuro della nostra società, che possono essere più o meno funeste. Ecco allora la sua più recente produzione che risale al 2012, Tempest, la cui ballata principale racconta l’affondamento del Titanic e, in qualche modo, i venti di burrasca che soffiano sull’Europa.