
È incredibile: Ravenna è una di quelle tranquille cittadine di provincia dove non succede quasi mai nulla di terribile e adesso, nel giro di due mesi, sono già sparite tre bambine. Cristiana, undici anni, lunghi capelli biondi ornati da nastrini colorati, tornava a casa dalla palestra dopo l’allenamento di pallavolo; Vincenza, otto anni, occhi verdi e una lunga coda di cavallo: anche lei stava tornando a casa, quando è stata presa; Asia, piccola profuga della Jugoslavia, è sparita dal cortile della scuola vecchia vicino alla darsena di città dove era alloggiata, andata incontro a chissà quale brutale destino. Come se non ne avesse già avuto abbastanza, di dolore. Pochi giorni prima della sparizione, a tutte e tre un uomo aveva scattato una foto con una Polaroid; è evidente che in città c’è un pedofilo che agisce indisturbato e al giornalista Carlo Bertelli non può non venire in mente quell’episodio sconvolgente di una mattina di marzo: davanti a lui, per strada, un motofurgone blu scuro a tre ruote che emanava fumo azzurrastro; la parte superiore della cabina contornata da un tubo dal quale pendevano bambole e bambolotti di plastica che parevano raccattati da una discarica, logori, nudi, quasi tutti senza occhi. Piccoli, ciechi trofei svolazzanti appartenenti a qualcuno che Carlo non era riuscito a scorgere dentro la cabina a causa del riverbero scuro del cielo sul vetro. Quel pazzo, chiunque fosse, potrebbe essere collegato alle tre bambine? Quella visione gli aveva tolto l’appetito e comunque, nel suo frigo, non ci sarebbe stato niente di commestibile. Gli viene la pelle d’oca a ripensarci, ma soprattutto è preoccupato per Chiara, quattro anni, figlia del suo migliore amico Luca, morto in mare qualche anno prima. Carlo ha giurato di prendersi cura di quel piccolo angioletto, e lo sta facendo, come promesso: “ Capotribù pensaci tu”, era sempre stata la parola d’ordine. Il suo tempo libero è tutto per Chiara, gli unici momenti davvero belli per l’uomo, che trascina la sua esistenza di mediocre giornalista separato dalla moglie tra fiumi di birra nei locali della riviera e qualche insignificante storia di letto. Ma quando anche il volto di Chiara viene immortalato da una Polaroid per Carlo la musica comincia a cambiare…
Fuori catalogo da parecchio tempo, Bambine era diventato ormai introvabile: romanzo d’esordio di Eraldo Baldini, primo e unico noir della sua carriera pubblicato per la prima volta nel 1995 dalla Theoria e successivamente dalla Sperling & Kupfer, torna quest’anno alla ribalta grazie alla Fernandel, accompagnato dalla bella prefazione dell’amico Carlo Lucarelli. All’epoca il libro fu un’assoluta novità, perché se la narrativa odierna pullula ormai di serial killer di bambini nei primi anni ’90 Baldini fu tra i primi ad affrontare l’argomento; ed è lontano anni luce da quel filone cosiddetto gotico-rurale – quell’ affascinante mix di mostri e folklore - che nel tempo è diventato il suo originale marchio di fabbrica. Bambine, come lui stesso racconta in un’intervista rilasciata proprio in occasione della riedizione, è stato concepito come “sfogo” in seguito a diversi episodi spiacevoli avvenuti nella sua vita: il divorzio dalla moglie nel ‘91, il tumore del padre e la perdita di un caro amico avvenuta in mare, a cui evidentemente la storia si ispira. E c’è stata davvero la bambina a cui l’autore ha fatto un po’ da padre, che oggi ha 27 anni. Baldini parla di un “noir antropologico più che basato sul crimine”, innestato sullo smarrimento di un individuo che ha perso il filo della sua vita: solitudine, inquietudine e nostalgia dei bei tempi andati, ma anche il grande disagio e la paura di diventare grande per Carlo, trentacinque anni e una vita spenta che trova i suoi sprazzi di luce buona nell’amicizia, e nel profondo e affettuoso legame con la piccola Chiara. La tenerezza si contrappone all’orrore e all’amara consapevolezza che il male è in mezzo a noi, annidato nel cuore della gente. In quella più comune e a volte in quella che mai ti aspetteresti. Una storia vecchia, anagraficamente ‒ oggi i serial killer userebbero gli smartphone al posto delle Polaroid! ‒ ma sempre attuale nel raccontare il vuoto e la perdita dei valori della società moderna. Ravenna, patria dell’autore, è contemporaneamente sfondo e protagonista della storia, descritta in modo esemplare nella sua destabilizzante ambiguità che ti lascia scoperto e vulnerabile, e che non ti fa mai sentire del tutto al sicuro: “(…) una Ravenna dai diversi volti, spesso inediti e insospettati”, come scrive Lucarelli, “un po’ nebbioso e sinistro borgo padano, un po’ sfavillante e insonne divertimentificio, un po’ porto di mare difficile e bizantino”. L’ happy ending non è contemplato.