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Bellofatto

bellofatto

Nell’asilo di Carovigno, la maestra sta raccontando una storia ai bambini che ascoltano rapiti. È una vecchia storia che parla di briganti, come Giuseppe Valente detto Nenna Nenna, con gli occhi lacrimosi e le narici pelose, e come Oronzo “Ronzu” Barco detto Bellofatto. Facile capire il motivo di questo soprannome, perché Ronzu è un bel giovane spavaldo, anche se si racconta di quella ragazza che gli ha detto di no, motivo per cui lo si è visto vagare ubriaco per le strade del paese. Tra i bambini che ascoltano incantati quelle parole, destinate a lasciare in loro suggestioni durature, c’è Eracle che da grande diventa un glottologo. Chissà, forse è così che la malia delle parole in dialetto usate dalla maestra in quel racconto è rimasta in lui. E c’è Francesco Laveneziana che, mentre la maestra racconta, si nasconde dietro il banco e con la bocca simula i suoni degli spari, novello brigante pure lui. È un attimo e Francesco ora fa il sindaco a Carovigno, e la sua storia si intreccia con quellav di Philomena Passalacqua, ceramista di Laterza di cui è innamorato. Ma inevitabilmente finisce per intrecciarsi anche con i luoghi della sua terra, con vecchie e nuove storie, con persone e personaggi di ieri e di oggi. E così alle vicendedei due carovignesi si aggiunge quella di un terzo brigante, Belisario, perché “gli uomini sono luoghi e nel loro nome c’è sempre un piano”, ma anche quella dell’albanese Mondi, che ha quattro genitori e due patrie perché Brindisi lo ha accolto e ha fatto crescere il suo talento, così che oggi Mondi Kikino è Console dell’Accademia di Gastronomia Italiana in Italia; ed ecco la grandezza di Brindisi, ecco la vera inclusione ed emancipazione dove “l’accoglienza è talento”. Ma la storia di Francesco si arricchisce anche di suggestioni sonore, affettive e visive, incontrando torri costiere, piazze e campanili, e poi la gravina di Laterza e le dune di Torre Guaceto, e ancora Mangiamaccheroni, personaggio della tradizione laertina. E c’è anche Viciénze il barbiere, a Bovino, che ha tante storie da raccontare, a partire magari da una foglia verde, storie che arrivano dall’’800, quando è nata la tradizione di famiglia, e nel suo negozio vive una storia che dura un’ora ed è capace di togliere dal viso rughe e dispiaceri. Questa narrazione, di cui Francesco è il filo rosso, diventa un viaggio tra vicoli e vie, persone e personaggi, storie che interagiscono tra loro e poi con altre storie, fino a diventare la storia della nostra “bella terra stronza”, dove una gara di cucina finisce per sembrare un certame di poesia, senza escludere però tante criticità. E su tutto un orgoglio senza retorica, “Siamo l’odore della crema bollente e della pasta frolla con le mura abbrustolite, siamo la sabbia sulla spiaggia di levante e la roccia su quella di ponente, il fard sulla faccia di Sant’Agata e il giunco della nassa sulla banchina del Canneto. Siamo alberi sui marciapiedi di chi ha attraversato un gran pezzo di esistenza”…

Classe 1965, nato a Mottola, laureato in Lingue e letterature straniere, operatore turistico e blogger, Vito Carenza esordisce con questo libro che è qualcosa a metà tra una raccolta di racconti legati dal fil rouge di un personaggio (il sindaco Francesco Laveneziana) e una guida turistica decisamente sui generis. I diciassette racconti/capitoli dai titoli suggestivi raccontano una Puglia non convenzionale al di là dei luoghi comuni, con un linguaggio che rompe gli schemi tradizionali e attraverso una lettura altra di un viaggio alternativo tra luoghi, tradizioni e cultura. Il testo – “nato dalla necessità personale di rinnovarmi” – è la rielaborazione e lo sviluppo di contenuti pubblicati dall’autore nel suo blog PugliAround.com, che offre una guida diversa dalle solite ai luoghi della Puglia, raccontati con ironia e attenzione alla tradizione, all’ospitalità, all’accoglienza, alla salvaguardia ambientale, all’integrazione e, naturalmente, ai luoghi e alla storia. Carenza parla di “una lunga e inconsapevole gestazione del libro la cui ossatura si è formata nel blog”, definendo il suo lavoro “una mappa personale per conoscere una Puglia inusuale, un lavoro controcorrente che evidenzia come, attraverso le criticità, si può emancipare la realtà”, sottolineando che non si tratta di un racconto giornalistico perché lui giornalista non è. Siamo abituati ad un turismo che consuma tutto quello che gli appartiene, dice ancora Carenza, e invece è necessario che, al contrario, si arricchisca, cercando di vedere cosa c’è oltre il singolo monumento, il singolo personaggio, la singola tradizione e anche oltre la singola criticità. Ed è così che in poche pagine riesce a raccontare venticinque, trenta luoghi fisici e ideali della Puglia in questo libro fatto di legami tra persone e personaggi a volte reali a volte metaforici, alla ricerca di un racconto nei luoghi e dei luoghi, nel tentativo di potenziare la tradizione, un po’ – spiega l’autore – come si sta facendo con la gastronomia, che ha ripreso e ri-raccontato “la cucina della nonna”. In Bellofatto, per esempio, questo si realizza benissimo nella storia della barberia di Bovino, che a sua volta genera una storia che si connette ad altre storie e a vecchi e nuovi personaggi. La lingua usata da Vito Carenza è imaginifica e trasfigura ogni cosa, così da offrire al lettore un caleidoscopio di colori suoni profumi e immagini del territorio pugliese (e brindisino in particolare) generato dalla lingua stessa, che diventa punto di forza del libro. Questa commistione di ambiente, storia, natura, arte, antropologie e poesia risulterà particolarmente intrigante per chi conosce bene i luoghi ma un po’ spiazzante per gli altri, compresi corregionali di altre zone. Facile invece lasciarsi coinvolgere dall’anima profondamente inclusiva che appartiene all’intera regione, che “pensa alla migrazione come un diritto fenomenale degli uomini e delle lingue, anch’esse in costante movimento”. Tante le fotografie poco convenzionali che arricchiscono le pagine. Consigliato a chi conosce bene il sud della Puglia e ha voglia di scoprirne ancora nuovi volti.