
La musica martellante del centro commerciale e le chiacchiere continue di sua moglie gli rimbombano nella testa. Mentre lei va in bagno, lui aspetta. Si siede e guardandosi intorno vede altri uomini che aspettano immobili le loro mogli. Immagina che siano: assicuratori, venditori, postini o allibratori. Tutti hanno un’aria annoiata e stanca, attorniati dai sacchetti dello shopping e vestiti allo stesso modo, alla maniera dei maschi bianchi adulti in estate: polo e pantaloni kaki. Sembrano non avere più un briciolo di vita o di desiderio. Si risvegliano al passaggio di qualche ragazzina in minigonna, poi abbassano lo sguardo per controllare l’orologio, attendendo ancora. Come in un film scorrono davanti a lui gli ultimi anni: il matrimonio, le code al semaforo, il lavoro, la snervante routine, le litigate con sua moglie, i cani che abbaiano, i vicini che urlano e bla bla bla. Basta. Non ce la fa più, deve sparire, deve andare via prima che sia troppo tardi. Corre, attraversa il reparto biancheria, quello dei casalinghi, il minizoo, l’angolo dei fiori artificiali e finalmente trova le scale. Le scende, esce e scappa. Vuole sparire, abbandonare tutto, senza voltarsi indietro, senza ripensamenti. È una grande città di vacanza e passa inosservato. Lascia senza rimpianto le sue cose in albergo e sale su un autobus, il 22, lo ha scelto a caso. Si allontana dal centro e inizia la sua nuova vita, prende una stanza in affitto, tutta bianca, vicino al fiume. È la numero 72…
Bla bla bla è un romanzo breve e un po’ disorientante. Il protagonista è un uomo senza nome né età. È arrabbiato, irrisolto e nauseato dalla banale vita che conduce. Il tempo gli scorre tra le dita, la routine delle abitudini e delle presunte certezze lo porta ad una decisione improvvisa e, vista dal di fuori, insensata. Abbandonare tutto per trasferirsi in una città straniera. Fuggire da una vita che ingabbia e che non soddisfa non è un pensiero insolito in certi momenti. Il merito di Giuseppe Culicchia è di mostrarlo senza ipocrisia e con uno stile asciutto. L’uomo affitta una camera da una signora abbandonata dal marito. Per qualche settimana vive senza sapere che fare, vagando per la città, poi conosce Eva, una ragazza scandinava e passano un po’ di tempo insieme. Finiscono i soldi e non riesce più a pagare l’affitto, a comprarsi da mangiare. Scappa di nuovo. Vive per qualche tempo come mendicante, riducendosi alla fame. Cerca le monetine nelle cabine telefoniche, raccoglie gli scarti nei mercati. L’unica volta che va in un ristorante dopo avere trovato un portafogli, disabituato al cibo, vomita tutto. La parabola discendente del protagonista, che vive alla deriva nella città, sprofondando nel degrado e nella violenza, attrae chi legge. Il flusso dei suoi pensieri allucinati dall’alcool, i miseri e falsi rapporti affettivi che ha, l’arrabattarsi come un animale abbandonato, scuotono solide certezze. Il protagonista del libro è senz’altro un eroe negativo, ma segnala un malessere reale, il senso di inadeguatezza e di incertezza che la società odierna dona a profusione. Culicchia lascia però intravedere un barlume di felicità, magari quella dei folli, l’unica possibile.