
In un futuro che deve fare i conti con un sovrappopolamento che non accenna a diminuire, la minoranza bianca al potere deve far qualcosa. La soluzione è garantire assistenza sanitaria gratuita solo a coloro che accettino di farsi sterilizzare. Non tutti, ovviamente, decidono di stare al gioco, di conseguenza il mercato nero, dei farmaci e dei medici, inizia a proliferare. Ma quando un terribile cancro, con decorso rapidissimo, falcidia la popolazione, quelli che prima erano clandestini e ricercati, i medici illegali con i loro aiutanti, i blade runner (letteralmente, coloro che corrono sul filo del rasoio), vengono chiamati per distribuire il vaccino…
Anche il meno cinefilo fra i lettori noterà un’evidente assonanza tra il titolo del libro (che per lunghezza è poco più di un racconto breve) e il celebre film di Ridley Scott del 1982. No, non c’entrano niente l’uno con l’altro. Neanche se il sottotitolo italiano della pubblicazione recita “La sceneggiatura inedita di un grande scrittore di fantascienza”. O meglio, qualcosa in comune c’è, ma non certo una filiazione diretta. Andiamo con ordine: nella prima metà degli anni ’70 William S. Burroughs vive un periodo non certo facile. È tornato a New York dopo un lungo esilio volontario e la scrittura della trilogia dei “Ragazzi selvaggi” sembra aver esaurito la sua vena creativa. Qualche anno più tardi, esattamente nel 1979, viene pubblicato un breve scritto che riaccende i riflettori sul talento dello scrittore che in molti (sbagliando) associano esclusivamente alla beat generation. Blade Runner, un film è un racconto di fantascienza in cui lo spirito politico e polemico dell’autore de Il pasto nudo scaturisce in tutta la sua potenza. La critica al sistema sanitario americano e all’industria farmaceutica è fin troppo evidente in un libro che prende le mosse da un racconto quasi omonimo (“The Blade-runner”) di Alan Edward Nurse, scrittore minore di fantascienza nei primi anni settanta. Scritto come se fosse una sceneggiatura, o meglio un soggetto da cui poi trarre una sceneggiatura, il libro di Burroughs in comune con il film di Ridley Scott ha le atmosfere da fantascienza distopica e il titolo, preso in prestito dal regista di “Alien” con il consenso dello scrittore americano. Certo un tassello importante per chi ama l’autore de La scimmia sulla schiena ed è pronto ad affrontare un libro “per immagini”, molto più simile alla scrittura per il cinema che a quella per la carta stampata. In conclusione un plauso e una critica a Mimesis: il primo per aver tirato finalmente fuori dal cilindro quest’opera inedita, la seconda per aver punteggiato le pagine del libro con disegni di qualcosa che assomiglia ad una pellicola cinematografica, una scelta forse però un po’ troppo pacchiana.