
Elizabeth Jane Cochran nasce il 5 maggio 1864, in piena Guerra di Secessione, anche se sono soprattutto i poveri a combattere e la sua famiglia non lo è affatto. Tredicesima dei quindici figli nati dai due matrimoni del padre, giudice onorario di origine irlandese, le viene subito attribuito il nomignolo di Pink, per “colpa” dell’abitino rosa di pizzi e merletti con cui la mamma decide di farla battezzare, pur se Millie, la governante, ha non pochi dubbi, ritenendo il bianco più consono all’evento. Essendo la prima femmina della seconda moglie del padre e avendo le sorellastre più grandi, comincia a capire subito la differenza con i maschi di casa: è trattata con sufficienza dai fratelli, invece lei vorrebbe, piuttosto che le bambole, condividere con loro la caccia a lucertole e ranocchie. Anche con i libri non le va meglio: viene invitata a chiudere un librone di anatomia che le interessa molto, perché dovrebbe preferire letture più adatte a una femmina e più “da bambina”. Le uniche concessioni per lei sono quelle dello stare vicina alla madre nella gestione della sorellina Catherine, appena nata, per bagnetto, pappe e vestizione, ma anche la frequentazione dello studio del padre, ma solo per poter leggere quei libri più adatti a lei. Quando la famiglia si trasferisce a Mansion Row, in una casa più grande e prestigiosa, proprio nella festa di inaugurazione, Elizabeth conosce Jennie Stentz, o meglio si tratta di un incontro furtivo, lei è solo una bambina, mentre miss Stentz sta liquidando l’azienda del padre per fondare e dirigere un giornale, motivo per cui è derisa da un gruppetto di invitati, compreso il papà di Pink, perché le donne non devo mantenersi da sole con un impiego, ma affidarsi a un marito. Elizabeth non capisce perché questa discriminazione, come avviene con lei che vorrebbe giocare con i fratelli. Prova ammirazione per quella donna che tiene testa agli uomini, ma non lo dice a nessuno...
Il libro di Melania Soriani è solo l’ultimo in ordine di tempo a riportarci una figura preziosa come Nellie Bly, nome con cui Elizabeth Cochran firmò i suoi articoli. Di certo lo fa con un trasporto e una passione tali da coinvolgere il lettore che si trova immerso in tutta una serie di avventure, anche piuttosto dolorose, attraverso le quali Nellie Bly è dovuta passare e solo per dimostrare che valeva come, se non più, di un uomo e come un uomo sapeva fare il suo mestiere di giornalista. Una ragazza americana libera, ma costretta sempre ad alzare l’asticella, fino a diventare la prima reporter che ha vissuto sulla sua pelle gli orrori di un ospedale psichiatrico come l’Asylum di New York. E non si è mai preoccupata di denominazioni, di declinazioni cacofoniche al femminile (che non sono mai esistite neanche nel vocabolario italiano), ma di riconoscimenti veri del talento e del suo valore: sapeva di poter svolgere la sua professione allo stesso modo e quindi allo stesso modo pretendeva di essere pagata e trattata, anche se per arrivare a questo ne ha dovute passare davvero tante. Ecco, se fossimo state più coerenti, se avessimo seguito di più la strada di Nellie Bly, forse oggi, circa centocinquanta anni dopo, non avremmo reso vani tutti i sacrifici fatti per aiutare le donne e non solo le giornaliste come lei, ma anche le operaie, le mogli vittime di mariti violenti e così via. Perché nella Dichiarazione firmata a Seneca Falls nel 1848, si dice: “La storia dell’umanità è una storia di ripetuti affronti e usurpazioni da parte dell’uomo verso la donna, avviati direttamente verso la stabilità di una tirannia assoluta su di lei”. E pur se gli uomini sono allevati da donne, finché sarà usata la tolleranza nei loro confronti non cambierà mai nulla. Nonostante tutto il tempo passato, le consapevolezze diverse, qualche passo avanti compiuto, la storia di Nellie Bly è ancora di straordinario interesse, da leggere e rileggere per farne tesoro.