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Boosta pazzesca

Boosta pazzesca

“Boosta” sta per “busta”, nel senso di sacchetto, tanto si pronuncia allo stesso modo. A Roma ‘na busta è una ragazza non proprio appetibile: può essere definita ‘na busta de fave (provate a dare un senso estetico a tre chili di fave messe in una busta di plastica…) o anche ‘na busta di peggio; comunque basta dire di una tipa che è “‘na busta”, che s’è detto tutto. Bruna Palletta, ventiquattro anni, nata e cresciuta ai “ponti”, periferia di cemento sciagurato del Laurentino 38 (o P38, come si diceva già negli anni ’80) è consapevole d’essere considerata “’na busta”, un giorno al liceo glielo scrissero persino sulla copertina del diario: “BUUSTA”. Fu la mano compassionevole dell’amica Marusca a trasformare le due U in O disegnandoci gli occhietti sopra rendendo la cosa più accettabile. Ed è questo che in fondo fa anche Bruna: rendere accettabile la sua condizione in generale. Quella di precaria al “coll center” preferendo pensarsi inserita nel mondo lavorativo come “quarcosista fri lenz” per pagarsi quell’Università che non serve a niente, lo dicono tutti, anche i giornali che titolano testualmente “I LAUREATI NUN TROVANO LAVORO MANCO A PIAGNE”. Rendere accettabile il vivere con un padre sbalestrato nel “monoloculo” occupato nel quale per mettere ordine ci vorrebbero le bombe a mano. Convivere con l’abbandono della madre francese – ma come c’era finita lì? – quando era piccola; sopportare le attese interminabili del bus 776, unico collegamento col capolinea della metro che porta in una Roma estranea. Come la Roma benestante del quartiere Prati dove Boosta conosce Axel, un musicista di tendenza, eclettico, ecologista, alternativo come i suoi amici che indossano le “converz” del cinese e conoscono tutti i posti dove si spende meno. Quando vanno a cena da “Er Quajaro” al Quarticciolo, Boosta è l’unica ed essersi vestita al meglio indossando, quasi colpevolmente, le “converz origginali”… Axel ed i suoi amici hanno un sacco di problemi: genitori stronzi e impaccati di soldi, i mali del mondo, l’impegno sociale, l’ecologismo, la casetta a New York o Berlino da tenere d’occhio (sì, ma… beh… un’eredità, un buchetto…). Poi c’è Carlo, l’autista precario del 776 col quale scambiarsi laconiche confidenze. Carlo che studia astrofisica per non fare “l’autiere” tutta la vita. Carlo che, incontrato per caso durante una delle prime uscite con Axel alla festa della birra, le ha tenuto la fronte mentre lei “sbrattava”: Axel, nel mentre, era andato a cercare un caffè…

Per alcuni sarà necessario reprimere la diffidenza snob rispetto al fatto che “Boosta” nasce come fenomeno social (post in tema Covid: “Ricordateve de lavavve le mani co’ la soluzione arcolica dopo che siete scesi a pijà a pizze uno per uno quelli der popolo dee mamme informate”) ed evitare – lo dico agli over ‘anta – di farsi ingannare dalla (calzante) copertina di Matteo Gherardi e Manuela Pinetti che potrebbe rimandare ad un cazzeggio giovanil-giovanilistico: Boosta pazzesca, mi si scusi la banalità, è un libro bellissimo, profondo, coinvolgente ed aspramente divertente. L’ho aperto con tutta la diffidenza possibile ed è finita che voglio bene a Bruna Palletta e voglio che mi racconti altre storie, che non si fermi qui: fa ridere con cinismo e candore. E se fa ridere anche il linguaggio borgataro e non “romanesco” di Boosta (ad esempio “annamio” in romanesco significa “andavamo”, non “andiamo” come lo intende Bruna), che non lo si prenda per un fenomeno di colore ed autocompiacimento localistico nel quale troppi umoristi sguazzano: Boosta pazzesca è un libro amaramente drammatico raccontato con tutta l’ingenuità e tutto il disincanto di una ragazza che si ostina a voler credere “nei valori” (quali?) di un mondo di cui non conosce niente ed ha forse capito tutto. Un mondo in cui le App ed i social parlano lo stesso linguaggio della protagonista (il “Mi piace” di “Feisbuc” è un “M’arisurta ‘na cifra”, le opzioni di conferma alla cancellazione d’un contatto – “Vòi davero sciacquatte via dar cazzo ‘sto pidocchio?” – sono “Avoja” e “Spe’”), dove persino la palina elettronica che riporta i tempi d’attesa inaccettabili del bus esplicita “Er 776 nun passa prima de n’oretta bbòna, tanto ‘nciai ‘na lira ma ‘ndo vai? Piotta a casa e ‘nventate ‘n mestiere”. Tutto è esplicitato e tradotto in soldoni, altre volte invece è tutto efficacemente sintetizzato con molte meno parole di un’analisi sociologica, perché Bruna è intelligente e sensibile e, guardando le cose con gli strumenti ed i retaggi che possiede, capisce ed intuisce: “(…) semo pronte a fronteggia’ ogni sorta de difficortà, però se sarebbimo pure rotte li cojoni de accollassele tutte ‘nzieme. E gnente, Axel attacca a parla’ der monolocale suo de New York che ce so’ probblemi seri, tipo che perde un tubbo (…)”. C’è forse bisogno di altro?