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Bournville

Bournville

Da quando le hanno diagnosticato un aneurisma aortico, sua madre Mary, oramai vedova e anziana, cerca di vivere solo nel presente, cogliendo quell’attimo fuggente che potrebbe non tornare più. Peter, al contrario, dopo la morte del padre ha sviluppato una vera ossessione per la storia della famiglia. Ha fatto ricerche online, setacciato casa di sua madre ma è lei la sua vera e sola fonte di notizie, unica sopravvissuta della sua generazione, che però gli concede solo briciole di informazioni, soprattutto riguardo ai racconti di famiglia risalenti agli anni Quaranta e Cinquanta. A ridare nuovi stimoli per farla ricordare è la telefonata della nipote Lorna, che in Germania stava portando avanti una serie di concerti, interrotti però bruscamente dalle ultime notizie, ancora poco chiare, su un virus che sta contagiando mezza Europa. Siamo nel marzo del 2020 e la ragazza è bloccata a Lipsia, dove dovrebbero essere sepolti alcuni lontani parenti di Mary. In particolare il nonno del marito Geoffrey, venuto in Inghilterra nel XIX secolo. I suoi sono ricordi che vanno di pari passo con i grandi eventi che si susseguono in Inghilterra, a cominciare dal Giorno della vittoria, l’8 maggio del 1945, quando lei è ancora una bambina e la sua famiglia viveva a Bournville, sobborgo di Birmingham che ruota attorno alla famosa fabbrica di cioccolato Cadbury. Le vicende famigliari di Mary si accompagnano alla voce di Churchill che dichiara la fine delle ostilità, vediamo poi la famiglia riunita davanti a un minuscolo televisore a 17 pollici per assistere all’incoronazione della regina Elisabetta II, il 2 giugno del 1953. Nel 1966, il destino beffardo mette in campo per la Finale dei Mondiali di Calcio le squadre di Inghilterra e Germania Ovest, evento che permette ai cugini tedeschi di visitare i parenti britannici, in un’atmosfera strana. I grandi eventi diventano storie di famiglia, come la guerra della fabbrica Cadbury contro i principali produttori di cioccolato, i film di James Bond, l’investitura di Carlo principe di Galles e poi marito di Diana, spettacolo mediatico enorme tanto quanto lo saranno i funerali della povera Lady D...

Racconto circolare lungo settantacinque anni, che racchiude un ciclo di eventi politici, sociali e culturali che, come boe per chi naviga, segnano il passo della vita di Mary e dei suoi cari. A cominciare da quel marzo 2020 a cui si fa ritorno, dopo aver attraversato un arco temporale denso di avvenimenti, per chiudere un racconto nella intimità di una famiglia, di un figlio e una madre. Non è la prima volta che Coe usa questo stratagemma che non serve solo a contestualizzare una narrazione scorrevole ma mai leggera, ma si innesta nelle vicende più personali dei protagonisti. I due piani sopra i quali il romanzo procede li ritroviamo ad esempio nel precedente Middle England, uscito in Italia nel 2020 sempre per Feltrinelli e definito anche come un’opera Brex-lit, rappresentativo di quella narrativa nata dall’uscita della Gran Bretagna dall’Europa e che anche in Bournville ritroviamo. Le grandi storie fanno le piccole storie di famiglia. La politica, con le sue guerre e le metamorfosi economiche, segna e plasma le vite quotidiane degli uomini. Uomini che si infervorano quando, incantanti da uno schermo cinematografico, si alzano in piedi e applaudono l’agente 007 James Bond che, ormai prossimo a morire, apre dal niente un paracadute con impressa la Union Jack, la bandiera britannica. O che si indigna vedendo sfilare il Primo ministro Margaret Tatcher che, tra il 1984 e il 1985, inizia una dura lotta contro i sindacati. I romanzi di Jonathan Coe dunque - e Bournville non fa eccezione - attraverso il racconto dei protagonisti compiono anche un’analisi sociale e politica della Gran Bretagna e degli inglesi, il loro amore per la corona e l’impero e le dure lotte di classe che sconvolgono la società civile. Potremmo anche, ma non per ultimo dire, che Bournville è una lettura al cioccolato, che permea con la sua presenza, più che con il suo profumo, tutto il romanzo.