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Breve storia del romanzo poliziesco

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Il motivo principale per cui un pubblico vasto e variegato in ogni parte del mondo legge romanzi polizieschi è ben spiegato in un’affermazione di Alain, che nel suo Sistema delle arti, spiega che “l’effetto certo dei mezzi di terrore e di pietà, quando li si adopera senza precauzione, è lo sgomento e la fuga dei pensieri, insomma una meditazione senza distacco, come nei sogni”. La lettura di un poliziesco diventa quindi un passatempo, inteso proprio nel senso letterale del termine, cioè un tempo non scandito da pensieri o da condizionamenti. La mente diventa una tabula rasa che registra in modo passivo tutti i dati che solo la mente dell’investigatore di cui si legge sa decifrare e coordinare, per poi arrivare a una risoluzione. Il lettore medio di polizieschi, che è anche il miglior lettore del genere narrativo, è chi non si pone in atteggiamento antagonistico nei confronti dell’investigatore per cercare di risolvere prima di lui il problema e individuarne la soluzione. Il vero passatempo deve consistere nell’affidarsi all’investigatore - forti della certezza che una soluzione esiste già e si trova all’ultima pagina della storia - e alla sua indubbia capacità di ricostruire un crimine. D’altra parte, spesso l’autore pone a fianco dell’investigatore un personaggio che ricopre il ruolo di spalla. Si tratta di un amico, un aiutante che incarna i dubbi, i sospetti e le domande del lettore comune. Esempi di queste figure sono Watson per Sherlock Holmes, Archie Goodwin per Nero Wolfe, Della Street per Perry Mason. Nel romanzo poliziesco il lettore si identifica con questo personaggio di spalla e accetta a priori il proprio ruolo di inferiorità, e di passività intellettuale, nei confronti di chi è chiamato a investigare sulla vicenda. L’infallibilità dell’investigatore, poi, e la sua capacità di rappresentare la legge, lo investono di una luce metafisica. Non è un caso che la storia del poliziesco abbia nella Bibbia le sue origini…

Nell’introduzione al breve saggio di Leonardo Sciascia - scrittore, giornalista, saggista e drammaturgo siciliano - Eleonora Carta spiega che il 20 e il 27 settembre 1975 il settimanale “Epoca” pubblicò due articoli dello scrittore di Racalmuto che finirono per divenire parte della raccolta Cruciverba, pubblicata da Adelphi nel 1998. Questo saggio altro non è che la trascrizione degli articoli apparsi sul settimanale. Si tratta di un lavoro brevissimo - poco più di venti pagine - che rivelano la grande passione di Sciascia per la narrativa poliziesca e il romanzo giallo, passione coltivata dapprima come lettore e successivamente come scrittore. Mentre l’autore fa partire le origini del genere al profeta Davide - individuato come il primo detective della Storia - intende, allo stesso tempo, riabilitare una categoria narrativa troppo spesso additata come prodotto sottoculturale, una sorta di letteratura di serie B. Addirittura; Sciascia stesso sembra cadere nello stereotipo che indica il poliziesco esclusivamente come una forma di intrattenimento. Infatti, lo equipara a un gioco linguistico, una sorta di passatempo che permette al lettore di praticare, per citare Alain, una “meditazione senza distacco”. In realtà, tuttavia, si avverte tra le righe l’esigenza di riabilitare il romanzo poliziesco, vestendolo di una nuova dignità. Ripercorrendo la storia dei romanzi polizieschi a partire dai modelli classici, Sciascia accompagna il lettore lungo un percorso intrigante e ricco di fascino, che va da Edgar Allan Poe a Simenon, passando attraverso Agatha Christie e Chandler. Sciascia analizzerà anche il diffondersi delle trame del giallo in Italia, un paese in cui i crimini difficilmente trovano una soluzione ufficiale e - considerando per esempio uno dei suoi lavori più noti, Il giorno della civetta - codificherà una nuova categoria legata al genere, cioè il giallo cosiddetto intellettuale, quello in cui l’investigatore non è un supereroe infallibile, ma un uomo semplice nella sua integrità, costretto a volte a piegare la schiena sotto il peso di forze superiori, che egli non riesce a sovrastare. La condizione di meditazione senza riscatto di cui parla in questo saggio, quindi, viene completamente ribaltata nei suo stessi lavori, in cui la ricerca della verità - che a volte diventa un vero e proprio percorso tra i dedali intricati di un labirinto che riconduce sempre allo stesso punto - si fa pietra miliare di ogni pagina.A