
Siamo nel 27 dicembre del 1968, nel trentesimo anniversario della morte di Osip Mandel’štam, grande poeta russo vittima del terrore staliniano. La moglie Nadja si sveglia all’improvviso, destata da due urla ravvicinate: “Osja... Osja”. Il grido è talmente forte che sembra il trillo di una sirena, ma in effetti proviene dalla stessa Nadja: è lei che fa da sveglia a sé stessa, che si impedisce di dormire. Dall’ultima volta che la donna ha potuto vedere il marito, nel primo maggio 1938, accade sempre così. Nadja praticamente non dorme più. Certo le capita di chiudere gli occhi, di giorno anche più che di notte, ma non si tratta di un vero sonno, profondo e rigenerante. È una sorta di perdita dei sensi, un sonno leggerissimo e sempre popolato di fantasmi, “il sonno di chi non dorme mai davvero, da decenni”. E in effetti questa strana forma di insonnia è partita anche prima del 1938, forse nel 1927, quando ancora Osja dormiva al suo fianco, ma tutti e due vivevano già in un continuo stato di allerta. Ha smesso anche di piangere, Nadja, o per meglio dire sono i suoi occhi ad aver finito le lacrime. Lei in effetti continua a piangere, ma è un pianto asciutto, un dolore e una tensione che non trovano requie. Nemmeno la morte di Stalin, “il montanaro del Cremlino” dai “ditoni grassi come vermi”, ha potuto portare un po’ di pace nel suo animo inquieto. Del resto, Nadja non può dormire, questa cosa non deve accadere. Perché nel profondo del suo cuore lei in effetti non si è mai rassegnata. Lei continua a credere che Osja possa spuntare da un momento all’altro. E in quel caso, lei non si deve certo far sorprendere impreparata, deve essere sempre pronta per l’occasione...
Osip Mandel'štam è stato uno dei protagonisti di spicco della cosiddetta “epoca d’argento” della poesia russa, un periodo a cavallo tra la fine Ottocento e i primi due decenni del Novecento che vide una straordinaria fioritura di opere destinate a segnare la storia della letteratura. Massimo esponente dell’acmeismo insieme a Nikolaj Stepanovič Gumilëv, Anna Achmatova e Michail Kuzmin, Mandel'štam finì per essere travolto, come altri poeti del tempo, dagli eventi tragici che caratterizzarono la Russia dopo la presa del potere da parte di Stalin. Dopo aver composto nel 1933 il famoso Epigramma di Stalin, dove attaccava con una satira feroce il dittatore georgiano, Mandel’štam cadde infatti definitivamente in disgrazia agli occhi del regime. Da lì ebbe inizio una lunga vicenda fatta di continui arresti e misure restrittive di vario tipo che culminò nel 1938, quando il poeta venne trasferito nell'estremità orientale della Siberia per scontare la condanna ai lavori forzati, un viaggio da cui non avrebbe mai più fatto ritorno. Il regime era riuscito a sopprimere l’uomo ma non riuscì a spegnere la fiamma della sua poesia, tenuta in vita dall’incredibile dedizione della moglie Nadja, giunta al punto di imparare a memoria numerose composizioni del marito pur di salvarle dall’oblio. E proprio Nadja è al centro di questo Bruciare da sola, nel quale Giovanni Greco fa rivivere la memoria del poeta dando la parola alla sua compagna di vita e di dolore. È un romanzo che è anche un lungo monologo, nel quale Nadja parla di e con l’amato Osip e con le altre figure che come lui furono protagoniste del grande divampare della poesia russa e che si trovarono ben presto ad essere vittime di un incendio ben più triste e tragico. Un romanzo che mostra tutta la forza e la resilienza della poesia, fragile e indifesa di fronte alla violenza del potere ma sempre in grado di risorgere dalle proprie ceneri, attraversare intatta il corso turbolento del tempo e rinascere ad anni e chilometri di distanza con la stessa, identica potenza.