
Ore 04.00. Luce ritiene che la Cuoca sia la peggiore compagna di stanza in quattordici mesi d’ospedale. Cammina e sbatte ovunque, accende le luci, bestemmia, ciabatta sul linoleum. Durante il giorno parla a voce altissima, si lamenta del cibo e di carenze che nota solo lei, occupa il tavolo con le sue cose, riversa sul marito in visita tutta la sua bile. Usa per prima il bagno appena pulito e ci rimane a lungo. Sono solo sette giorni che condividono la camera, ma appena ne avrà la forza, Luce è sicura di picchiarla, tanto la agita il suo modo di fare. Durante la notte, mentre tenta di dormire dandole le spalle, la donna trascina una sedia davanti a lei e la apostrofa con durezza, accusandola di credersi migliore. Il campanello suona e l’infermiere accorre, ma nessuna delle due ammette di averlo suonato e la Cuoca insinua sia stata una sua distrazione, così da attribuirle la colpa. Che cosa vuole da lei? Quando l’infermiere esce, la donna accende la lampada e si pettina i lunghi capelli, chiederle di spegnerla e lasciarla dormire è inutile. Luce è piena di rabbia, è la sola emozione che le sia rimasta. È iniziato tutto con il ricovero per l’intervento con cui le è stata prelevata una parte della massa e poi la diagnosi di linfoma non Hodgkin, un linfoma aggressivo. Sono le 06.00, la suora cammina lungo il corridoio recitando le sue preghiere, un fastidio a cui è abituata, ma la Cuoca esplode e declina il suggerimento di mettersi i tappi nelle orecchie per attutire il rumore. Raggiunta la porta chiama la suora, con astuzia insinua pensieri ostili verso le malate della stanza accanto, secondo lei le sparlano dietro e criticano quel suo pregare, così se la toglie di torno, per poi godersi il battibecco che si sente distintamente oltre la porta e che richiede l’intervento di due infermieri. Luce non sa se indignarsi o ridere di quel giochetto. La Cuoca soddisfatta si getta sulle spalle la vestaglia e annuncia che va a fumarsi una sigaretta, non prima di averla biasimata per il blando suggerimento dei tappi e accusandola di restarsene sempre muta a giudicare...
Una famiglia benestante, ottima educazione e ottimi studi, una carriera d’avvocato garantita nello studio paterno, il volontariato, un matrimonio favoloso da organizzare e poi, inaspettata ecco la massa grande come un pompelmo, estranea, ingombrante – bulky, secondo il termine inglese – a dare una direzione tutta diversa alla sua vita, ai programmi rigidamente impostati dell’esistenza. Ricoveri, manipolazioni, flebo e la costante del sapore metallico in bocca, che rende disgustoso il cibo mandato giù a fatica. A rendere inaspettatamente caotica la routine ospedaliera a cui si è abituata, arriva una compagna di stanza rumorosa e indisponente. Una cuoca in pensione con la grazia di un elefante e un linguaggio sopra le righe, un confronto inizialmente impari che alla lunga la costringe a tirare fuori la grinta e allo stesso tempo fare i conti con ciò che prova: verso la malattia, la sua famiglia, la direzione che ha preso la sua vita e a mano a mano che il processo si compie rendersi disponibile verso quella terrificante donna. Pagine di dolore (emotivamente impegnative alla lettura se un’eccessiva sensibilità verso certe situazioni vi riguarda) si alternano a pagine divertenti, tenere, in cui emergono gli sviluppi di una singolare amicizia. Raffaella Simoncini, milanese d’origine e pescarese d’adozione, ha attinto alla sua personale esperienza ospedaliera per narrare la storia di Luce in questo suo romanzo d’esordio. Appassionata di scrittura e teatro, ha frequentato i corsi di scrittura creativa della Scuola Macondo - L’Officina delle storie, i corsi di recitazione dello SMO Lab e i corsi della Civica scuola di Teatro Paolo Grassi. Inoltre è cofondatrice delle Fonderie Ars, un’associazione impegnata nella promozione della scrittura, della musica e del teatro, con spettacoli organizzati in tutta Italia.