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Buona la prima

Di essere il frutto di una prima volta, Maia l’ha scoperto per caso. Aveva nove anni e i genitori non le permettevano di guardare in TV la serie Visitors. Quella sera, mentre i suoi pensavano stesse dormendo, la piccola si era accucciata di nascosto tra l’angolo del divano e un muro di libri, che la rendevano in qualche modo invisibile ma le permettevano di vedere, in prospettiva, la televisione, dove si stava assistendo alla nascita, da parte di Robin, una terrestre bruttina e mal pettinata, di un figlio - inizialmente molto carino ma trasformato, subito dopo, una specie di lucertola - seguito da un secondo pupo orribile, verde, con i denti aguzzi e strabico. Nel dichiarare che anche Maia, alla nascita, era tutt’altro che carina, sua madre aveva commentato che, probabilmente, la bambina aveva somatizzato la fretta, visto che era il frutto di una prima volta. Ma prima volta di cosa? si chiedeva una curiosissima Maia, che aveva deciso di andare a fondo nella faccenda ed aveva interrogato i genitori, una sera a cena, chiedendo lumi circa il significato di “nascere da una prima volta”. Aveva così scoperto che suo padre - giovane ragazzo di Cuneo che aveva deciso di dedicare la propria vita a Dio e di prendere i voti - aveva conosciuto sua madre - unica figlia dei Rigamonti, i fotografi più noti di Milano da tre generazioni - nel negozio di lei e, in poco tempo, la sua vocazione era, manco a dirlo, andata a farsi benedire e un pomeriggio i due piccioncini, approfittando dell’assenza dei genitori di lei, avevano “consumato” nella camera oscura del negozio. Poco dopo sua madre aveva scoperto di essere incinta, con tutte le conseguenze del caso: abbandono della tonaca da parte di lui e matrimonio riparatore. Dopo nove mesi abbondanti era nata lei, 4 kg e 300 grammi di bambina segnata da un nome che altro non era che un refuso: il padre avrebbe voluto chiamarla Maria, ma l’impiegato dell’anagrafe, sordomuto, non aveva letto bene il labiale e aveva omesso la “r” …

Titolo profetico quello dell’esordio letterario di Fabienne Agliardi, giornalista che collabora con Mondadori, è Direttore Editoriale di Teatro.it e lavora nella Comunicazione della Direzione Alumni dell’Università Bocconi. Una serie di divertenti ed azzeccatissime digressioni, caratterizzate da un’ironia tagliente, nelle quali la protagonista - figlia di un aspirante prelato, che ha finito per abbandonare i voti per crisi di vocazione, e di una fotografa, eroina contemporanea, con le sue debolezze e le sue fragilità - si racconta attraverso alcuni fotogrammi che la ritraggono in importanti tappe della sua esistenza, venti “prime volte” per essere precisi. Prime volte che attraversano quattro decenni della vita di Maia - in una Milano che cambia insieme alla protagonista - e che sono foto da riordinare, le stesse foto con cui, da piccola, si divertiva a giocare con la madre. E proprio come l’evoluzione della fotografia va dal bianco e nero all’era digitale, passando attraverso la Polaroid, così i fermo immagine che la Agliardi descrive, con leggerezza e ironia, vanno dall’infanzia della protagonista al suo periodo adolescenziale e si chiudono con episodi legati alla sua maturità. Pezzi unici di una galleria fotografica personale - la prima fiaba, la prima volta al cinema, il primo trauma, la prima notte di nozze, solo per citarne alcuni - che mostrano come la vita di Maia, e quella di ciascuno di noi, altro non sia che un susseguirsi di sorprese, di inizi, di dolori, di gioie, di nuove scoperte. Piccole storie che si vestono di ironia anche nei momenti più amari e difficili e che hanno il prezioso merito di invitare il lettore a ripercorrere dettagli indimenticati della propria vita, spesso nascosti nelle pieghe più profonde della memoria e desiderosi di essere riscoperti per riuscire a raccontarsi e a ritrovarsi di nuovo. Una lettura fresca e gradevole, pervasa di leggerezza e sensibilità; un viaggio divertente e delicato - assolutamente consigliato - tra la magia dei ricordi, alla ricerca di sé.