
Testimone della “generazione perduta dei trenta-quaranta” senza posto fisso, senza nessuna speranza di ottenere un mutuo, accompagnata solo dalla paura che la “promessa di un brillante futuro a trentacinque anni dovrebbe già essere mantenuta”, la giornalista free-lance Anna Violetta Naldini si destreggia a Milano e provincia tra collaborazioni su quotidiani locali e nazionali, riviste di viaggi, traduzioni dal francese e pubblicità per centri estetici. Il giorno del suo trentacinquesimo compleanno, traguardo fatidico per qualsiasi italianista che si rispetti, Anna Violetta perde forse la più significativa delle sue otto precarie collaborazioni: quella con “La Locomotiva”, il “quotidiano di sinistra per antonomasia… che mette d’accordo il sindacalista ingrugnito con la signora della sinistra elitaria”. In suo soccorso giungono allora le amiche: Federica, fedele compagna di liceo, laureata in informatica, affidabile e razionale, e Jacaranda, nata Jolanda Colacioppo, sposata al noto cardiochirurgo Piergiorgio Migliavacca dell’Onda, “con nessun pensiero al mondo se non lo sperpero creativo del patrimonio del coniuge”. Il vero punto di riferimento di Anna Violetta, però, è il suo “prefe”, il nonno Pietro di Lomello, grande appassionato di lirica, a cui deve il suo secondo nome da “traviata”. Sarà lui a suggerirle inconsapevolmente, ricordandole il vecchissimo motivetto “nella vita, se mai dovessi inciampare, è colpa di Voltaire”, la chiave del suo personale riscatto che partirà proprio dal “Caffè Voltaire”, il bar sotto casa in cui apprende la notizia della caduta del governo e del conseguente inizio di una feroce campagna elettorale a cui una giornalista “dentro” non può rinunciare. Allora la Naldini si rimette in pista, bussa alle porte di tutte le redazioni giornalistiche del milanese, persino a quella dei “Probi Viri”, testata di destra, diretta dalla leggendaria Berta Azzopardi. A questo punto accade ciò che Anna mai avrebbe pensato potesse avvenire: ritrovare un lavoro, ma forse anche due, accettare compromessi con se stessa e tornare a fidarsi dei suoi sentimenti…
Laura Campiglio in Caffè Voltaire racconta la storia di una generazione che sembra destinata ad una costante precarietà professionale: Anna e i suoi amici “alla domanda che lavoro fai” rispondono che si occupano di questo o quel progetto, “Eppure nessuno di voi fa l’architetto”, commenta il nonno Pietro. Questa generazione condannata a una giovinezza a tempo indeterminato ha imparato a camminare sempre sospesa, mascherando i suoi equilibrismi con la prerogativa della flessibilità. Così seguiamo Anna nelle sue imprese quotidiane: scrivere in un’ora più articoli per diverse testate al tavolino di un bar, volare in tempo di record sul posto di uno scoop, arrotondare i magri guadagni accettando qualsiasi tipo di collaborazione, testi pubblicitari compresi. A completare con aspetti diversi la faccia di una stessa medaglia “generazionale” concorrono anche le amiche: Federica, seria e idealista che con un dottorato di ricerca fatica ad arrivare a fine mese, e Jacaranda che, dopo le difficoltà vissute da ragazza madre, si gode la ricchezza del marito, fino a quando bellezza e giovinezza glielo consentiranno. Al tema generazionale si aggiunge la cronaca della campagna elettorale descritta con toni assolutamente realistici dalla protagonista, con tanto di cliché riconducibili a destra e a sinistra e neoformazioni che spesso sfoderano vecchi sorrisi e nuovi ignoranti, come il movimento “SiPuòFare”. Il richiamo ai grandi illuministi come Voltaire e Rousseau, a cui l’autrice ricorre con ironia e leggerezza, ci ricorda che qualche volta dovremmo recuperare l’equilibrio, la razionalità e la vera giustizia sociale proposti dai padri della cultura moderna.