
Italia fascista, Agro Pontino. Quello che è in corso è un vero e proprio esodo dal Nord al Sud: centinaia, migliaia di famiglie contadine emigrano precisamente nel Lazio, verso le terre comprese nell'attuale provincia di Latina nelle quali il duce ha ordinato di bonificare le paludi. Tra queste famiglie spinte dalla fame ci sono i Peruzzi, oppressi dal latinfondista Zorzi Vila, che li ha spogliati di ogni cosa. A guidare la famiglia il valoroso zio Pericle, a cui si accompagnano i vecchi genitori, le nuore e i fratelli: Adelchi, Iseo, Temistocle, Treves e Turati. Tra loro una schiera di donne, ognuna con la loro peculiarità: la zia Santapace che finirà per mettersi a sparare assieme ai tedeschi contro gli alleati che attaccano le paludi, la zia Bissolata velenosa, capricciosa e insolente, la bella e stravagante Armida, la moglie di Pericle, che si circonda di api e da queste si fa proteggere. Sullo sfondo di queso esodo familiare,la rievocazione della marcia su Roma, il delitto Matteotti, l'evoluzione del fascismo, la guerra. Lavorare nell'Agro Pontino significa guadagnare un nuovo podere, tornare a possedere qualcosa, a mangiare, ritornare alla tranquillità. Una tranquillità ostacolata da un amore inaspettato e da un nipote, segnato forse da un nome infausto, Paride...
Bonificare l'Agro Pontino fu un'opera immensa, per cui furono impiegati oltre 30.000 operai, prosciugate paludi, costruiti canali, disboscate foreste. È di questo e della sofferenza di tante famiglie che Antonio Pennacchi ha voluto parlare nel libro “per cui sono venuto al mondo”, come proclama lui stesso con solennità prima di iniziare la narrazione. I Peruzzi non sono mai esistiti, ma la loro storia è analoga a quella di tante famiglie, perchè “non esiste nessuna famiglia di coloni veneti, friulani o ferraresi in Agro Pontino a cui non siano capitate alcune delle cose che qui capitano ai Peruzzi”. Difficile ricostruire la trama di una saga storico-familiare, per non dire epica, di tale spessore: difficile anche commentare onestamente quella che probabilmente è stata una vera e propria fatica letteraria. La capacità di ricostruzione di un capitolo fondamentale e poco conosciuto della storia del nostro paese è minuziosa ed encomiabile: ammirevole anche l'aver coniugato la storia, con la s minuscola di una famiglia, e la Storia, con la S maiuscola, quella italiana. Un tentativo che sarebbe riuscito alla perfezione se Pennacchi non si fosse lasciato prendere un po’ troppo la mano da piccoli episodi o da descrizioni accurate – e un po’ didascaliche - di vita contadina che, per quanto interessanti, fanno perdere il filo al lettore. Inoltre l'uso del dialetto (un veneto spurio, ibridato con altri idiomi) intensifica la vena realistica del romanzo ma nello stesso tempo rende a tratti difficoltosa la comprensione. Un romanzo da leggere, quindi, anche se probabilmente sarà necessaria un pò di fatica.